2007-11-26 14:10:54

Solidarietà verso gli homeless per frenare il dramma silenzioso della loro miseria: lo hanno invocato il cardinale Martino e mons. Marchetto alla prima Conferenza internazionale sulla Pastorale per i senza dimora


Una preoccupazione umana ed ecclesiale”, che chiede risposte in grado di arginare il dramma quotidiano e semisconosciuto dei senza fissa dimora. Lo hanno invocato ad una voce il cardinale Renato Raffaele Martino e l’arcivescovo Agostino Marchetto, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti, entrambi intervenuti questa mattina, a Roma, al primo Incontro internazionale di Pastorale per le Persone senza fissa dimora, organizzato dal dicastero vaticano. I particolari, nel servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3


Muoiono nel silenzio che ha accompagnato la loro vita di “invisibili”. Cinquantamila senza tetto, ogni giorno, cadono vittime della loro miseria che non fa notizia, se non per chi si è votato alla loro assistenza. Sono uomini e donne, vecchi e ragazzini, vittime dei ripari fatiscenti in cui bivaccano, dell’acqua malsana alla quale troppe volte accostano le labbra, della carenza di igiene che li espone alle malattie. In altri termini, vittime di un ordine sociale “imperfetto, ineguale, ingiusto”, rispetto al quale “coloro che appartengono ad altri ambiti della società hanno praticato una ‘amnesia selettiva’”. E’ lo scenario generale delineato da Marchetto nel suo intervento alla Conferenza di Roma, che segna - ha ricordato - il terzo di una serie di incontri organizzati dal dicastero vaticano circa la cosidetta “Pastorale della strada”. Le cifre esposte dal segretario del Pontificio Consiglio per i migranti evocano immagini di baraccopoli di tutto il mondo - con i 100 milioni di ragazzi di strada che si stima le popolino - o dei milioni di senza fissa dimora che sono in scia al ricco Occidente: almeno tre milioni in Europa e tre e mezzo negli USA, metà dei quali ragazzi, senza contare ovviamente i continenti dove la povertà è una piaga che ancora oggi sanguina in modo copioso. A seconda della latitudini, ognuno di questi invisibili viene chiamato homeless o clochard o barbone o pudel, ma la loro esistenza, ha osservato mons. Marchetto, pur non inquadrabile in “una sola entità” si riassume in un’identico risultato finale: la “perdita della dignità e del diritto fondamentale alla casa”.

 
Tuttavia, ha obiettato il presule, “soddisfare le necessità umane fondamentali offrendo riparo, alloggio, cibo, vestiti, calore, cure sanitarie e così via, è solo l’inizio dell’opera”. C’è, nel profondo di ogni persona senza dimora una necessità “più grande”: quella di “essere accettata e trattata con dignità”. Questo obiettivo è ben chiaro ai molti Istituti religiosi o organizzazioni cattoliche, come ad esempio la Caritas, che si occupano dei senza dimora e il cui lavoro è stato ampiamente apprezzato dal presule. Proprio sulla base dell’esperienza fin qui acquisita, mons. Marchetto ha delineato cinque direzioni per orientare la solidarietà in questo specifico settore sociopastorale: anzitutto, eliminare gli stereotipi che condizionano il giudizio sui senza casa da parte della gente, turbata dalla loro non convenzionalità. Quindi, aiutarli rispettando la loro sfera vitale, con un equilibrio - ha distinto mons. Marchetto - “attento tra aiuto e libertà, tra vicinanza e distanza”. Terzo, elaborare un “ministero cristiano specifico”, evitando nel caso degli homeless forme di “proselitismo”. Quarto, tenere presente che il loro reinserimento in famiglie o comunità non è mai facile e, addirittura, talvolta “impossibile” né “auspicabile”, per via della “vulnerabilità” dei soggetti, la cui storia personale potrebbe renderli ostili a un ritorno al passato che a loro appare invece come un “futuro incerto”. Infine, approfondire il fenomeno con un’adeguata riflessione ecclesiale. In questo caso, ha proposto mons. Marchetto, si potrebbe pensare alla “creazione di coalizioni di ampia portata tra organizzazioni laiche e religiose per operare insieme in questo processo di cambiamento e rinnovamento”.

 
Introducendo i lavori della Conferenza, il cardinale Martino aveva rammentato ai partecipanti i passi principali compiuti dal magistero ecclesiale in questo campo. Benedetto XVI, ha ricordato, insiste nella Deus caritas est sull’amore che nasce da Cristo e dunque sulla “dedizione” che ne scaturisce: “Non è sufficiente – scrive il Papa - donare cose temporali, ma dobbiamo essere ‘presenti a livello personale’ in tutto ciò che facciamo, secondo il modello offerto dalla parabola del buon Samaritano”: per esso, “la carità cristiana è dapprima semplicemente la risposta a ciò che, in una determinata situazione, costituisce la necessità immediata: gli affamati devono essere saziati, i nudi vestiti, i malati curati in vista della guarigione, i carcerati visitati”. Ma in definitiva, la carità cristiana supera la filantropia, poiché - afferma Benedetto XVI - ci chiede di “imparare a vedere con gli occhi di Cristo e a stare con gli altri secondo la Sua prospettiva”.







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