2007-11-15 13:56:09

Sì al primato del vescovo di Roma nella Chiesa universale, ma restano da studiarne funzioni e prerogative: lo affermano i membri della Commissione mista cattolico-ortodossa


Per storia e tradizione ecclesiale, il vescovo di Roma va considerato come il protos, cioè il “primo” tra i Patriarchi tanto delle Chiese d’Occidente quanto d’Oriente. Tuttavia, le prerogative che derivano da questa primazia vanno meglio studiate e comprese per essere condivise dalle due tradizioni. E’ questa, in estrema sintesi, la conclusione cui approda l’importante documento reso noto oggi dalla Commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Un documento frutto dell’ultimo incontro della Commissione mista, celebrato un mese fa a Ravenna. I particolari nel servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

 
Chi è il capo della Chiesa universale? La domanda è tutt’altro che scontata se collocata in un’orizzonte ecumenico. In altre parole: può essere individuata una figura che, sia per i cattolici sia per gli ortodossi, occupi il primo posto pur nell’“uguaglianza sacramentale” e nella “pari dignità” propria di ogni vescovo? E quale ruolo, quali funzioni dovrebbe esercitare questo “primo tra pari”? Per una settimana, dall’8 al 14 ottobre scorsi, questi interrogativi sono stati il fulcro di una densa riflessione dottrinale ed ecclesiale sviluppata dai membri della Commissione mista cattolico-ortodossa, riunita a Ravenna. La risposta - che giunge al termine di un documento articolato in 46 punti e in una decina di pagine - può essere riassunta in questo modo: sì, cattolici e ortodossi concordano sul fatto che il vescovo di Roma - ovvero il Papa per i cattolici - sia considerato il protos cioè il primo tra i patriarchi di tutto il mondo, poiché Roma è, secondo l’espressione di Ignazio di Antiochia, “Chiesa che presiede nella carità”. E no, cattolici e ortodossi non concordano sulle “prerogative” di questo primato, poiché, afferma il documento, “esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici”:

 
Per arrivare a queste conclusioni, il documento di Ravenna prende le mosse da due “fondamenti”: la “conciliarità” e l’“autorità”. La prima, detta anche “sinodalità”, “riflette - si afferma - il mistero trinitario”, all’interno del quale la “seconda” o la “terza” persona non implicano “diminuzione o subordinazione”. Allo stesso modo, anche la Chiesa possiede una “dimensione conciliare” che si esprime a tre livelli: locale, regionale, universale. I primi responsabili di questa conciliarità sono i vescovi: uniti in comunione - proseguono gli esperti della Commissione mista - non soltanto i vescovi “dovrebbero essere uniti tra loro nella fede, la carità, la missione, la riconciliazione”, ma essi “hanno in comune la stessa responsabilità e lo stesso servizio alla Chiesa”. L’autorità deriva invece da Cristo, si “fonda sulla Parola di Dio”, e per il tramite degli Apostoli essa è “trasmessa ai vescovi” e “ai loro successori”. Il suo esercizio, si legge, è essenzialmente “un servizio d’amore”, perché “per i cristiani, governare equivale a servire”.

 
Stabiliti questi due presupporti, il documento di Ravenna passa ad analizzarne la loro triplice “attualizzazione” nei tre livelli di cui sopra. Al primo livello, quello “locale”, la Chiesa esiste in quanto “comunità radunata dall’Eucaristia” ed è presieduta direttamente o indirettamente da un vescovo. “Tale comunione - si ribadisce - è il quadro entro il quale è esercitata tutta l’autorità ecclesiale”. Già a questo livello la comunione che lega i membri della Chiesa “appare sinodale o conciliare” e il vescovo appare dunque come il protos, cioè il primo, il capo della comunità. Analogamente, conciliarità e autorità si esprimono anche al secondo livello, quello “regionale”, nel quale rendono evidente la comunione con le “altre Chiese che professano la stessa fede apostolica e condividono la stessa struttura ecclesiale”. Il punto 24 del documento cita un canone accettato sia in Occidente che in Oriente che stabilisce come “i vescovi di ciascuna nazione debbono riconoscere colui che è il primo tra di loro e considerarlo il loro capo”, non facendo “nulla di importante senza il suo consenso” e tuttavia senza che “il primo” faccia “nulla senza il consenso di tutti”, salvaguardando così la “concordia”. Questo principio di unità episcopale - esplicitato nei secoli in Oriente, fra l’altro, attraverso la nascita di nuovi Patriarcati e in Occidente tramite l’istituzione delle Conferenze episcopali - trova applicazione anche al livello più alto, quello “universale”, della comunione tra le Chiese di ogni luogo e di ogni tempo. Espressione di tale comunione universale sono i Concili ecumenici che, sin dai primordi della Chiesa, hanno visto riunirsi per dirimere questioni di primaria importanza i vescovi delle cinque principali sedi apostoliche - Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme - e via via di ogni altra diocesi.

 
E’ qui, nei Concili ecumenici in particolare, in cui si riconosce il “ruolo attivo” esercitato dal vescovo di Roma, quale personalità più illustre tra i vescovi delle sedi maggiori. Tuttavia, alcune delle difficoltà tra cattolici e ortodossi nascono nella definizione di “ecumenici” data dalla Chiesa latina ad assisi conciliari tenutesi dopo la rottura causata dallo scisma. Dunque, conclude la Commissione mista, “resta da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese”, ovvero quale sia “la funzione specifica del vescovo della ‘prima sede’ in un’ecclesiologia di koinonia”, cioè di comunione, in rapporto a quanto affermato sulla conciliarità e sull’autorità. E resta da studiare anche in che modo “l’insegnamento sul primato universale dei Concili Vaticano I e Vaticano II” possa essere compreso e vissuto alla luce della pratica ecclesiale del primo millennio”. Si tratta - termina il documento - di interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire la piena comunione tra di noi”.

 
Per un commento a questo nuovo passo compiuto da cattolici e ortodossi, Philippa Hitchen ha sentito il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani:RealAudioMP3


R. - Questo documento parla della tensione fra autorità e conciliarità, ovvero sinodalità, a livello locale, cioè della diocesi, a livello regionale e universale. Il passo importante è che per la prima volta le Chiese ortodosse ci hanno detto sì, esiste questo livello universale della Chiesa e anche a livello universale c’è conciliarità, sinodalità e autorità; vuol dire che c’è anche un Primato: secondo la prassi della Chiesa antica, il primo vescovo è il vescovo di Roma, non c’è dubbio su questo. Però non abbiamo parlato di quelli che sono i privilegi del vescovo di Roma, abbiamo indicato soltanto la prassi per la discussione futura. Questo documento è un modesto primo passo e come tale dà speranza, ma non possiamo esagerarne l’importanza. La prossima volta dovremo tornare sul ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale nel primo millennio, poi dovremo parlare anche del secondo millennio, del Concilio Vaticano I, il Vaticano II, e questo non sarà facile, la strada è molto lunga e difficile ma questo documento ci dà speranza, abbiamo raggiunto un primo passo importante. Siamo grati a quanti hanno collaborato e anche a quanti hanno pregato durante questo incontro a Ravenna, a tutti i fedeli che hanno veramente pregato e noi abbiamo sperimentato l’aiuto di Dio e della Vergine Maria.

 
D. – Comunque, a quell’incontro di Ravenna la delegazione della Chiesa ortodossa-russa è andata via dalla riunione. In qualche modo, questo crea problemi per la validità di questo documento …

 
R. - Sì, è vero, la delegazione ortodossa-russa è partita già il primo giorno perché c’era un problema inter-ortodosso, sul riconoscimento della Chiesa autonoma dell’Estonia, c’è una differenza tra Costantinopoli e Mosca. Questa è una questione inter-ortodossa, non possiamo interferire, ma noi siamo molto rattristati e preoccupati perché per noi è importante che la Chiesa ortodossa russa partecipi anche nel futuro al nostro dialogo. Perciò non possiamo interferire, ma vogliamo chiedere a Mosca e Costantinopoli di fare del loro meglio per trovare una soluzione, un compromesso e se loro vogliono possiamo anche facilitare questa soluzione o a livello bilaterale, tra Mosca e Costantinopoli, o a livello pan-ortodosso, ma non c’è dubbio, noi vogliamo la partecipazione della Chiesa ortodossa-russa. E’ una Chiesa molto importante; non vogliamo fare il dialogo senza i russi e vogliamo lavorare per questo scopo.







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