Sì al primato del vescovo di Roma nella Chiesa universale, ma restano da studiarne
funzioni e prerogative: lo affermano i membri della Commissione mista cattolico-ortodossa
Per storia e tradizione ecclesiale, il vescovo di Roma va considerato come il protos,
cioè il “primo” tra i Patriarchi tanto delle Chiese d’Occidente quanto d’Oriente.
Tuttavia, le prerogative che derivano da questa primazia vanno meglio studiate e comprese
per essere condivise dalle due tradizioni. E’ questa, in estrema sintesi, la conclusione
cui approda l’importante documento reso noto oggi dalla Commissione mista internazionale
per il dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Un documento frutto
dell’ultimo incontro della Commissione mista, celebrato un mese fa a Ravenna. I particolari
nel servizio di Alessandro De Carolis:
Chi
è il capo della Chiesa universale? La domanda è tutt’altro che scontata se collocata
in un’orizzonte ecumenico. In altre parole: può essere individuata una figura che,
sia per i cattolici sia per gli ortodossi, occupi il primo posto pur nell’“uguaglianza
sacramentale” e nella “pari dignità” propria di ogni vescovo? E quale ruolo, quali
funzioni dovrebbe esercitare questo “primo tra pari”? Per una settimana, dall’8 al
14 ottobre scorsi, questi interrogativi sono stati il fulcro di una densa riflessione
dottrinale ed ecclesiale sviluppata dai membri della Commissione mista cattolico-ortodossa,
riunita a Ravenna. La risposta - che giunge al termine di un documento articolato
in 46 punti e in una decina di pagine - può essere riassunta in questo modo: sì, cattolici
e ortodossi concordano sul fatto che il vescovo di Roma - ovvero il Papa per i cattolici
- sia considerato il protos cioè il primo tra i patriarchi di tutto il mondo,
poiché Roma è, secondo l’espressione di Ignazio di Antiochia, “Chiesa che presiede
nella carità”. E no, cattolici e ortodossi non concordano sulle “prerogative” di questo
primato, poiché, afferma il documento, “esistono delle differenze nel comprendere
sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti
scritturali e teologici”:
Per arrivare a queste
conclusioni, il documento di Ravenna prende le mosse da due “fondamenti”: la “conciliarità”
e l’“autorità”. La prima, detta anche “sinodalità”, “riflette - si afferma - il mistero
trinitario”, all’interno del quale la “seconda” o la “terza” persona non implicano
“diminuzione o subordinazione”. Allo stesso modo, anche la Chiesa possiede una “dimensione
conciliare” che si esprime a tre livelli: locale, regionale, universale. I primi responsabili
di questa conciliarità sono i vescovi: uniti in comunione - proseguono gli esperti
della Commissione mista - non soltanto i vescovi “dovrebbero essere uniti tra loro
nella fede, la carità, la missione, la riconciliazione”, ma essi “hanno in comune
la stessa responsabilità e lo stesso servizio alla Chiesa”. L’autorità deriva invece
da Cristo, si “fonda sulla Parola di Dio”, e per il tramite degli Apostoli essa è
“trasmessa ai vescovi” e “ai loro successori”. Il suo esercizio, si legge, è essenzialmente
“un servizio d’amore”, perché “per i cristiani, governare equivale a servire”.
Stabiliti
questi due presupporti, il documento di Ravenna passa ad analizzarne la loro triplice
“attualizzazione” nei tre livelli di cui sopra. Al primo livello, quello “locale”,
la Chiesa esiste in quanto “comunità radunata dall’Eucaristia” ed è presieduta direttamente
o indirettamente da un vescovo. “Tale comunione - si ribadisce - è il quadro entro
il quale è esercitata tutta l’autorità ecclesiale”. Già a questo livello la comunione
che lega i membri della Chiesa “appare sinodale o conciliare” e il vescovo appare
dunque come il protos, cioè il primo, il capo della comunità. Analogamente, conciliarità
e autorità si esprimono anche al secondo livello, quello “regionale”, nel quale rendono
evidente la comunione con le “altre Chiese che professano la stessa fede apostolica
e condividono la stessa struttura ecclesiale”. Il punto 24 del documento cita un canone
accettato sia in Occidente che in Oriente che stabilisce come “i vescovi di ciascuna
nazione debbono riconoscere colui che è il primo tra di loro e considerarlo il loro
capo”, non facendo “nulla di importante senza il suo consenso” e tuttavia senza che
“il primo” faccia “nulla senza il consenso di tutti”, salvaguardando così la “concordia”.
Questo principio di unità episcopale - esplicitato nei secoli in Oriente, fra l’altro,
attraverso la nascita di nuovi Patriarcati e in Occidente tramite l’istituzione delle
Conferenze episcopali - trova applicazione anche al livello più alto, quello “universale”,
della comunione tra le Chiese di ogni luogo e di ogni tempo. Espressione di tale comunione
universale sono i Concili ecumenici che, sin dai primordi della Chiesa, hanno visto
riunirsi per dirimere questioni di primaria importanza i vescovi delle cinque principali
sedi apostoliche - Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme - e
via via di ogni altra diocesi.
E’ qui, nei Concili
ecumenici in particolare, in cui si riconosce il “ruolo attivo” esercitato dal vescovo
di Roma, quale personalità più illustre tra i vescovi delle sedi maggiori. Tuttavia,
alcune delle difficoltà tra cattolici e ortodossi nascono nella definizione di “ecumenici”
data dalla Chiesa latina ad assisi conciliari tenutesi dopo la rottura causata dallo
scisma. Dunque, conclude la Commissione mista, “resta da studiare in modo più approfondito
la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese”, ovvero
quale sia “la funzione specifica del vescovo della ‘prima sede’ in un’ecclesiologia
di koinonia”, cioè di comunione, in rapporto a quanto affermato sulla conciliarità
e sull’autorità. E resta da studiare anche in che modo “l’insegnamento sul primato
universale dei Concili Vaticano I e Vaticano II” possa essere compreso e vissuto alla
luce della pratica ecclesiale del primo millennio”. Si tratta - termina il documento
- di interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire
la piena comunione tra di noi”.
Per un commento a questo
nuovo passo compiuto da cattolici e ortodossi, Philippa Hitchen ha sentito
il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione
dell'unità dei cristiani:
R. -
Questo documento parla della tensione fra autorità e conciliarità, ovvero sinodalità,
a livello locale, cioè della diocesi, a livello regionale e universale. Il passo importante
è che per la prima volta le Chiese ortodosse ci hanno detto sì, esiste questo livello
universale della Chiesa e anche a livello universale c’è conciliarità, sinodalità
e autorità; vuol dire che c’è anche un Primato: secondo la prassi della Chiesa antica,
il primo vescovo è il vescovo di Roma, non c’è dubbio su questo. Però non abbiamo
parlato di quelli che sono i privilegi del vescovo di Roma, abbiamo indicato soltanto
la prassi per la discussione futura. Questo documento è un modesto primo passo e come
tale dà speranza, ma non possiamo esagerarne l’importanza. La prossima volta dovremo
tornare sul ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale nel primo millennio,
poi dovremo parlare anche del secondo millennio, del Concilio Vaticano I, il Vaticano
II, e questo non sarà facile, la strada è molto lunga e difficile ma questo documento
ci dà speranza, abbiamo raggiunto un primo passo importante. Siamo grati a quanti
hanno collaborato e anche a quanti hanno pregato durante questo incontro a Ravenna,
a tutti i fedeli che hanno veramente pregato e noi abbiamo sperimentato l’aiuto di
Dio e della Vergine Maria.
D. – Comunque, a quell’incontro
di Ravenna la delegazione della Chiesa ortodossa-russa è andata via dalla riunione.
In qualche modo, questo crea problemi per la validità di questo documento …
R.
- Sì, è vero, la delegazione ortodossa-russa è partita già il primo giorno perché
c’era un problema inter-ortodosso, sul riconoscimento della Chiesa autonoma dell’Estonia,
c’è una differenza tra Costantinopoli e Mosca. Questa è una questione inter-ortodossa,
non possiamo interferire, ma noi siamo molto rattristati e preoccupati perché per
noi è importante che la Chiesa ortodossa russa partecipi anche nel futuro al nostro
dialogo. Perciò non possiamo interferire, ma vogliamo chiedere a Mosca e Costantinopoli
di fare del loro meglio per trovare una soluzione, un compromesso e se loro vogliono
possiamo anche facilitare questa soluzione o a livello bilaterale, tra Mosca e Costantinopoli,
o a livello pan-ortodosso, ma non c’è dubbio, noi vogliamo la partecipazione della
Chiesa ortodossa-russa. E’ una Chiesa molto importante; non vogliamo fare il dialogo
senza i russi e vogliamo lavorare per questo scopo.