Il vero umanesimo è frutto di un’educazione della persona nella sua integralità:
sul richiamo del Papa, ieri all’udienza generale, il commento del vescovo Sigalini,
assistente della Azione cattolica italiana
E’ necessaria “un’educazione della personalità nella sua integralità”: l’esortazione
di Benedetto XVI, ieri all’udienza generale, ha messo l’accento sull’esigenza di un
vero umanesimo che valorizzi la persona in tutte le dimensioni del suo essere. Un
richiamo particolarmente attuale di fronte alle sfide poste, soprattutto ai giovani,
dalla società contemporanea. Ecco la riflessione di mons. Domenico Sigalini,
vescovo di Palestrina e assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana,
raccolta da Alessandro Gisotti:
R. –
Credo sia uno degli elementi che seguiamo sempre anche in tutte le nostre pastorali.
Sto pensando soprattutto al nostro interesse per il mondo giovanile, perché vediamo
che sono in atto molti interventi di tipo specialistico per quanto riguarda i ragazzi,
che su alcune scienze o alcuni elementi sanno tutto ma non hanno una visione di sintesi.
A noi, invece, interessa sempre aiutare i ragazzi ad avere una visione globale della
vita: non puoi essere espertissimo in una realtà e non sapere niente nell’altra! Pensiamo,
per esempio, anche alla dimensione religiosa; se non c’è anche la dimensione religiosa
dentro tutto l’insieme dei saperi, il ragazzo viene privato di una fonte di felicità
decisiva per la sua vita.
D. - Papa Benedetto ha
anche sottolineato che l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e all’uomo è
la “vera condizione di ogni progresso di ogni riconciliazione ed esclusione della
violenza”. Un richiamo particolarmente attuale, pensiamo a quanto successo in Italia
in questi giorni…
R. - Esatto. Perché un giovane,
una persona, è matura soltanto se sa rispondere di quello che fa. Non ci possono essere
situazioni di conflitto che vengono risolte per impulso, per vendetta, per rabbia;
si può capire che ci siano questi sentimenti ma nella vita della persona ci deve essere
assolutamente una capacità di controllo e di risposta responsabile.
D.
- Oggi i giovani sembrano spesso privi di riferimenti. Come questa condizione di disagio
interroga un pastore come lei?
R. - Dobbiamo assolutamente
aiutare questi ragazzi a ritrovare questi riferimenti, perchè dentro di sé loro li
cercano e pure li hanno, solo che non hanno voce, non vengono esplicitati, non vengono,
soprattutto, riconosciuti. Invece, il riferimento è morale, il riferimento di un’autorevolezza,
il riferimento a un padre, a un maestro, i ragazzi lo gradiscono; magari si ribellano,
però dentro di sé hanno bisogno di questa sicurezza perché non sono convinti di indovinarle
tutte e di avere tutte le risposte della vita! Hanno bisogno di qualcuno che con un
evidenziatore sottolinei i valori fondamentali a cui si devono riferire.
D.
- Questa integralità della persona sottolineata da Benedetto VXI fa anche pensare
a come il Santo Padre richiami la realtà fondamentale del cristianesimo, cioè un incontro
con la persona, con Cristo…
R. - Certo, perché anche
nell’esperienza della vita cristiana noi non riusciamo assolutamente a coltivare soltanto
l’intelligenza perché conosciamo alcune espressioni del Vangelo, dei comandamenti;
deve esserci questo afflato personale, questo coinvolgimento con Cristo in un’esperienza.
L’esperienza, per sua natura, chiama una globalità: deve coinvolgere il cuore, il
sentimento, gli affetti. Il Santo Padre insiste molto anche sulla parte razionale:
bisogna allargare questo spazio della razionalità, perché la fede ha diritto di stare
alla pari di tutte le ricerche scientifiche. Fa parte integrante della vita della
persona anche questa esperienza della fede.
D. -
In questo senso il Papa mette l’accento sulla pastorale dell’intelligenza…
R.
- Sì, perché la pastorale dell’intelligenza permette di radicare nella persona le
espressioni della sua religiosità con dignità e proprietà, con motivazioni, con atti
intellettualmente onesti e umanamente sensati.