Ottimi i risultati del progetto pilota dell’Ospedale Fatebenefratelli per umanizzare
l’assistenza dei malati nei reparti di rianimazione
Consentire ai parenti dei malati ricoverati in rianimazione il libero accesso al reparto,
ventiquattro ore su ventiquattro. Il progetto, unico in Italia, è stato avviato sette
anni fa nell’ospedale romano Fatebenefratelli. Ha comportato un cambiamento non solo
nell’organizzazione del lavoro medico e paramedico, ma anche nel modo di intendere
l’assistenza. Le rianimazioni, infatti, sono tradizionalmente strutture chiuse che,
pur avendo in cura pazienti in condizioni critiche, consentono solo visite familiari
molto brevi. I risultati e i vantaggi dell’iniziativa sono stati presentati nel corso
di un convegno organizzato nello stesso ospedale dall’A.fa.R., l’Associazione Fatebenefratelli
per la Ricerca biomedica e sanitaria. Silvia Gusmano ha raccolto la testimonianza
di uno degli ideatori del programma, il medico rianimatore Antonio Di Pastena.
R. –
L’idea era quella di trasformare l’ospedale il più possibile alla casa del malato,
in modo tale che non si sentisse completamente sradicato. Questo consentiva di migliorare
i rapporti con i parenti, perché entravano all’interno di un piano terapeutico. Sul
paziente in coma, invece, si metteva la cuffietta con Venditti e un parente che parlava
con lui e cercava di farlo riemergere dal coma.
D.
– Grossi benefici, dunque, per i pazienti e per i loro familiari. E per il personale
medico cosa ha comportato questo cambiamento?
R.
– Da una parte, sicuramente, un maggior carico di lavoro, perché bisogna spiegare
ai parenti come si devono comportare, cosa succede, bisogna spiegare loro la tecnologia
che vedono, che li colpisce e li porta a chiederti cosa stia succedendo. Nello stesso
tempo, però, il paziente è più motivato a cercare di migliorare, perché c’è anche
una voce intermedia tra medico, infermiere e paziente. E’ anche un grande aiuto per
noi.
D. – A sette anni dall’apertura del reparto
di rianimazione, qual è il vantaggio più significativo che avete riscontrato?
R.
– La riduzione della conflittualità con i parenti e con i malati stessi, cioè la possibilità
che, avendo approvato un piano terapeutico, non ci sono disaccordi. Soprattutto il
parente si accorge che noi stiamo lavorando. Fare un santuario chiuso faceva sì che
si pensasse che all’interno qualcuno veniva trattato meglio e qualcuno veniva trattato
peggio. L’iniziativa del reparto di rianimazione rientra in un
progetto più ampio, portato avanti dall’Ordine dei Fatebenefratelli: rendere l’ospedale
la “casa del malato”, promuovendo un maggiore rispetto per i pazienti e un rapporto
più umano tra gli operatori sanitari e i loro assistiti. Una visione che, come è emerso
dal convegno, dedicato al ruolo del personale paramedico, l’A.fa.R. realizza anche
attraverso la ricerca. Ne spiega gli obiettivi Fra Rudolf Knopp, presidente
dell’associazione.
R. -
Das Ziel ist einfach, die Pazienten besser zu betreuen. … Lo scopo è molto
semplicemente una migliore assistenza dei pazienti, porgere loro effettivamente il
migliore e più adeguato aiuto possibile. Una cosa è importantissima: la professionalità
pura può letteralmente uccidere le persone, ma la pura umanità può uccidere le persone
allo stesso modo! Quindi, senza un equilibrio tra competenza professionale e competenza
in ambito sociale, nessuno può guarire!
D. – Perché
è così importante valorizzare anche il profilo umano del medico?
R.
- Es geht darum, wie ein Arzt eine Diagnose vermittelt, dass der Pazient ... E’
importante come il medico comunica la diagnosi, in modo che il paziente la accetti
e riesca poi a lavorare per la terapia. Inizia così: io entro in ospedale, ho paura,
cosa può succedermi? Se poi l’accoglienza è scortese, la paura aumenta e la paura
può addirittura falsare i risultati delle analisi e della visita!
D.
- Per dar vita a questo modello assistenziale, l’A.Fa.R. investe molto nella ricerca.
Può farmi un esempio di progetto da voi sperimentato recentemente?
R.
- Im Brescia... A Brescia cerchiamo di seguire i pazienti anziani, dopo
una riabilitazione geriatrica, attraverso il computer per renderli, lentamente, autosufficienti
a casa loro. Questo significa che nella terapia il paziente impara a trattare con
la webcam e il pc, e questo fa sì che da casa egli possa mantenere regolarmente il
contatto con il medico curante, e comunicare con lui. Questo riduce di molto la loro
degenza in ospedale.
D. - Negli ospedali in genere
purtroppo non si riscontra quest’attenzione all’aspetto umano della malattia. Un carenza
riscontrabile in tutta Europa. Da cosa dipende a suo giudizio?
R.
– Ich denke, der wirtschaftliche Druck auf das Gesundheitswesen ... Credo
che la pressione economica sulla sanità abbia reso la stessa sanità più disumana.
C’è sicuramente un aspetto di critica da parte dei Fatebenefratelli alla politica,
che considera la questione dell’assistenza sanitaria ormai soltanto da un punto di
vista economico.