2007-11-06 18:38:55

IRAQ Cristiani vivono nella paura, ma animati da solidarietà ecumenica, dice mons. Sleiman



FRIBURGO, 6 nov 07 - Dei 700mila cristiani che vivevano in Iraq prima dell’arrivo degli americani, nel marzo 2003, circa la metà si sono rifugiati nei pressi di Mossul, nel Kurdistan iracheno, o hanno cercato riparo in Giordania, in Siria o nel Libano. In alcuni quartieri di Baghdad, così come a Bassora e a Mossul, quelli che rimasti vivono nel terrore quotidiano. Sono dati forniti in un’intervista rilasciata all’agenzia Apic da mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo latino di Baghdad che evidenzia tuttavia un ecumenismo vissuto tra i fedeli di tutte le confessioni cristiane. Nel quartiere cristiano di Baghdad, racconta il presule, non si può più circolare liberamente per i continui rapimenti e attentati. Le chiese caldee sono state chiuse e in alcune località i fondamentalisti hanno tolto le croci dagli edifici di culto. A Bassora i cristiani sono pochissimi e nella città non c’è più un vescovo, mentre i cristiani di Dora, quartiere misto con prevalenza sunnita di Baghdad, hanno dovuto lasciare le loro case senza poter portare nulla; le chiese sono chiuse e il seminario e le chiese assire sono state evacuate. Chi può va via, ma non tutti riescono a partire e altri sono troppo poveri per farlo. “Credo tuttavia che non si comprenderà nulla se si ignora che per i musulmani l’elemento politico è un fondamento della religione – sostiene mons. Sleiman. La questione della laicità è occidentale, non fa parte della visione della maggioranza dei musulmani”. Della nuova costituzione irachena, il presule dice che si tratta di qualcosa di nuovo per un Paese arabo, se si eccettua il Libano. “Si parla di libertà di coscienza e questa è una bella apertura – prosegue mons. Sleiman – ma tutto questo edificio è stato decapitato dall’articolo 2, che dice che ogni legge che contraddice la Sharia è nulla. Questo vuol dire che i cristiani sono nuovamente sottomessi ad uno statuto di ‘protetti’. “Personalmente mi auguro un Iraq unificato, dove i diritti degli uomini possano essere la carta fondamentale – conclude mons. Sleiman – si devono difendere i diritti della persona, ma non bisogna dimenticare che l’Iraq è strutturato antropologicamente in una forma tribale e questa è una grossa difficoltà per i diritti dell’uomo, perché questi ultimi presuppongono un uomo libero. Nella società irachena la comunità prevale sull’individuo e lo protegge. La contropartita è che l’individuo sia leale verso la tribù”.
(Apic – CAMPISI)








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