Amici di Gesù sulla terra, condividono con Dio in cielo una eredità che non marcisce:
così il Papa nella Messa in suffragio dei cardinali e dei vescovi morti nel corso
dell'anno
Sono stati amici di Gesù nella vita terrena, ora sono immersi nell'amore eterno di
Dio in cielo. E’ quanto ha detto Benedetto XVI durante la Messa da lui presieduta
questa mattina nella Basilica Vaticana in suffragio dei cardinali e vescovi defunti
nel corso dell'anno. Il servizio di Sergio Centofanti:
(Canto)
“Con
fraterno affetto ricordo i nomi dei compianti Porporati: Salvatore Pappalardo,
Frédéric Etsou-Nzabi Bamungwabi, Antonio María Javierre, Angelo Felici, Jean-Marie
Lustiger, Edouard Gagnon, Adam Kozłowiecki e Rosalio José Castillo Lara”.
Il
Papa ha sottolineato che la preghiera di suffragio della Chiesa si “appoggia” sulla
preghiera di Gesù quando dice: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano
con me dove sono io” (Gv 17,24). “Quelli che mi hai dato”: è una bella definizione
del cristiano, afferma il Papa:
“Sono uomini che
il Padre ‘ha dato’ a Cristo. Li ha tolti dal mondo, quel ‘mondo’ che ‘non L’ha conosciuto’
(Gv 17,25), e li ha chiamati a diventare amici di Gesù. Questa è stata la grazia più
preziosa di tutta la loro vita. Sono stati certamente uomini con caratteristiche diverse,
sia per le vicende personali che per il ministero esercitato; tutti però hanno avuto
in comune la cosa più grande: l’amicizia con il Signore Gesù. L’hanno ricevuta in
sorte sulla terra, come sacerdoti, ed ora, al di là della morte, condividono nei cieli
questa ‘eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce’” (1 Pt 1,4).
“E’ consolante e salutare” – ha proseguito il Papa
- meditare, nella preghiera per i defunti, “sulla fiducia di Gesù verso il Padre”
e “lasciarsi così avvolgere dalla luce serena di questo abbandono assoluto del Figlio
alla volontà del suo Abbà”. “Una speranza che non delude”, anche quando si attraversa
la notte più oscura, anche nelle prove – ha detto il Pontefice – sperimentate dai
cardinali e dai vescovi scomparsi, che così tante volte hanno recitato il Salmo 42:
“Perché ti rattristi, anima mia, / perché su di me gemi? / Spera in Dio: ancora potrò
lodarlo, / lui, salvezza del mio volto e mio Dio”:
“Come
sacerdoti ne hanno sperimentato tutta la risonanza esistenziale, prendendo anche su
di sé le accuse e le derisioni di quanti dicono ai credenti nella prova: 'Dov’è il
tuo Dio?'. Ora, al termine del loro esilio terreno, sono giunti in patria. Seguendo
la via aperta dal loro Signore Risorto, non sono entrati in un tempio fatto da mani
d’uomo, ma nel cielo stesso (cfr Eb 9,24). Là, insieme con la Beata Vergine Maria
e con tutti i Santi, possano contemplare finalmente – è la nostra preghiera - il volto
di Dio e cantare in eterno le sue lodi. Amen!” (Canto)