2007-11-03 13:00:10

A Roma la sesta edizione del Festival dedicato al Cinema ebraico e israeliano


Si inaugura oggi a Roma, presso la Casa del Cinema, la sesta edizione del Festival dedicato a “Ebraismo e Israele nel Cinema”, in programma fino al sette novembre prossimo, che permette di avvicinare, attraverso molte e interessanti proposte cinematografiche, alcuni degli aspetti meno conosciuti della cultura e della religione ebraica e della attuale società israeliana, posta dinanzi alle sfide della pace, della giustizia e del dialogo. Servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3


In una società come quella israeliana afflitta da un perenne conflitto, dalla paura del terrorismo, da difficoltà e contraddizioni sociali, da una memoria tragica e sempre incombente, dalla necessità di ritrovare pace, equilibrio e prospettive, il cinema diventa strumento capace di assorbire questi temi e reintepretarli od esplorarli con la sua ineguagliabile libertà creativa. Pertanto è lodevole poter conoscere le ultime opere di una cinematografia altrimenti poco frequentata. Così il Roma Kolno’a Festival in cinque giorni cerca, attraverso film inediti ed un cospicuo numero di interessanti documentari, di metterci a contatto con l’Israele di oggi, per non dimenticare i suoi problemi e le sue ansie, che diventano anche le nostre e di tutta la società occidentale. Ariela Piattelli, giornalista e co-direttrice artistica insieme al critico israeliano Dan Muggia, sottolinea come il festival voglia tenere separati i due ambiti di indagine, quello ebraico e quello israeliano:

 
R. – Sono degli ambiti molto diversi tra loro, il cinema ebraico ed il cinema israeliano, che a volte si incontrano, anche per quello che viene impropriamente chiamato il cinema ebraico, e questo è uno di quegli stereotipi che vogliamo demolire in questo festival perché non esiste un cinema ebraico, esiste un cinema di argomento ebraico, esistono dei registi ebrei che fanno i film.
 
A Dan Muggia abbiamo chiesto quali, secondo lui, sono le proposte più originali del Festival e che non andrebbero perse da un pubblico attento.

 
R. – Penso che sia interessantissimo per il pubblico italiano venire a vedere i tre cortometraggi realizzati in una scuola di cinema religiosa, ortodossa, e che affrontano i loro problemi interni, la loro vita, tramite il cinema che è una cosa abbastanza nuova. Inoltre, “My Father, My Lord” è un film che parla del conflitto eterno tra il credere e la sorte di una famiglia di super ortodossi che devono affrontare un momento di crisi dove la tragedia arriva e non sanno qual è il peccato. Questo è stato girato da una prima opera di David Volaci, un religioso che si è allontanato un pò dalla religione e ha la possibilità di guardarla da dentro. Parlando di stereotipi: anche noi ne abbiamo in Israele. In questo momento i religiosi nel Paese sono visti dal cinema come delle caricature. Questa volta, invece, riusciamo a portare un cinema autentico che parla della religione ma dal di dentro.







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