2007-10-30 15:59:50

“Non intendo insinuare dubbi di alcun genere, il lavoro dello storico non è emettere giudizi”. Così il prof. Luzzatto, autore del volume “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento”


“Non intendo insinuare dubbi di alcun genere, il lavoro dello storico non è emettere giudizi” così il prof. Sergio Luzzatto ordinario di Storia moderna all'Università di Torino sulle critiche mosse al suo libro “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento”. La stampa italiana, lo ricordiamo, anticipando nei giorni scorsi stralci del testo ha sollevato il dibattito sulla natura delle stimmate del Santo. Il manoscritto propone una serie inedita di documenti, affronta e tratteggia i volti di molti uomini noti e sconosciuti, collocando storicamente le vicende che accompagnano padre Pio da Pietrelcina, fatto Santo da Giovanni Paolo II nel 2002. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso Sergio Luzzatto.RealAudioMP3


R. - Diversamente da altri libri che sono stati scritti a questo riguardo, questo forse è il primo che non muove né dalla prospettiva devozionale né dalla prospettiva - come si può dire - di contro-storia, di contro-informazione su Padre Pio. Io credo di non essere inesatto a dire semplicemente che questo è il primo libro di storia su Padre Pio, anche perché è il primo che è stato scritto da uno storico di mestiere.

 
D. - La premessa del libro che lei ha espresso nel prologo è quella di non voler chiarire se le stimmate, i miracoli di Padre Pio siano stati veri o falsi. Ma la stessa introduzione di questo tipo non va a generare un dubbio?

 
R. - Lo storico non deve capire se Padre Pio aveva delle vere stimmate o abbia compiuto veri miracoli. Lo storico deve capire in quali circostanze Padre Pio abbia potuto ritenere di avere ricevuto le stimmate e in quali circostanze un così immenso movimento di devozione abbia potuto riconoscere la cristomimesi, i miracoli e quant’altro.

 
D. - I giornali hanno puntato l’attenzione sullo stralcio del testo che riporta le richieste dell’allora Padre Pio di due sostanze acide a due farmacisti per curare i novizi. Le perplessità dei due fedeli sul reale utilizzo degli acidi: un’operazione mediatica, secondo lei?

 
R. - Ma, è inutile che ci nascondiamo come funzionano queste cose. In altre parole: il libro ha 410 pagine, per presentarlo sono state estrapolate quelle 4-5 pagine che io naturalmente sono ben lungi dal rinnegare, anche perché sono documentate nell’archivio. Sono il primo storico che il Vaticano abbia autorizzato a vedere le carte di Padre Pio, nel senso che fino a questo momento immagino che quel faldone, molto corposo, che è depositato a partire dal 1919 nell’Archivio del Sant’Uffizio, era stato certamente consultato ma da personaggi interni alle gerarchie ecclesiastiche, tra l’altro anche in occasione del processo di canonizzazione. Io sono il primo storico esterno, estraneo anche al Vaticano, che abbia avuto il privilegio documentario, e per certi aspetti anche intellettuale, di consultare quelle carte. Non ho fatto altro che raccontare onestamente - credo - dentro il mio libro che cosa quelle carte contengono.

 
D. - Però lei in quel paragrafo solleva il dubbio e si chiede perché Padre Pio non abbia soddisfatto la richiesta di acidi attraverso il medico dei Cappuccini...

 
R. - Sottraiamoci un attimo, come si può dire, da questa dimensione che è quella dell’anticipazione giornalistica che io ho vissuto da spettatore e comunque da persona al corrente dei fatti ma non responsabile delle scelte. Il mio libro contiene molti documenti. E, lo ripeto, quella è una domanda che si sono fatti i consultori del Sant’Uffizio. Io non voglio instillare dubbi di nessun genere. Io ho rispettato i documenti e ho cercato - sicuramente - di interpretarli ma prima di tutto, diciamo, di collocarli nel loro tempo storico.

 
D.- Lei parla della conversione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo come di una "metafora", che unisce il sangue colato dalle ferite di Padre Pio durante la celebrazione eucaristica come segno di un rinnovarsi del sacrificio di Cristo. Ma è davvero possibile, secondo lei, leggere la realtà storica senza usare la fede come focale?

 
R. - Lo ha scritto anche Vittorio Messori in una maniera molto elegante, sul “Corriere della sera”, a proposito del mio libro. Secondo lui, è un libro che ha dei meriti di rigore storiografico ma a cui sfugge una specie di quintessenza, che è la quintessenza della fede, e secondo Messori chi non condivide quella fede è destinato a capire delle cose, a capire magari molto, ma a non capire tutto. Questo è un rischio al quale io mi espongo volentieri. Questa confusione del sangue di Padre Pio con il vino della comunione, di nuovo, non è una confusione che mi sono inventato io: è una confusione che testimoni dell’epoca percepivano, vivevano. Se non ci fossero state le stimmate, forse Padre Pio non sarebbe diventato quell’immenso fenomeno di pietà e di devozione che è diventato.







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