Si è sacerdoti, vescovi o cardinali "non per sé ma per gli altri": intervista con
una delle porpore del prossimo Concistoro, l'arcivescovo Giovanni Lajolo
E' uno degli eventi ecclesiali più attesi: il Concistoro ordinario pubblico, convocato
da Benedetto XVI per sabato 24 novembre. Ventitrè le nuove porpore annunciate dal
Papa, 18 delle quali con potere di voto in Conclave. Fra di esse, figura l’arcivescovo
Giovanni Lajolo, presidente della Pontificia Commissione e del Governatorato
dello Stato della Città del Vaticano. Giovanni Peduto gli ha chiesto come abbia
accolto l’annuncio della sua nomina a cardinale:
R. -
Anzitutto, con gratitudine verso il Santo Padre. Nel biglietto di nomina il Santo
Padre scrive che, annoverandomi fra i cardinali, vuole darmi un segno di particolare
benevolenza. Ma anche di soddisfazione per il Governatorato: con la nomina a cardinale
del suo presidente, il Governatorato infatti vede nuovamente riconosciuto il suo ruolo
come strumento della libertà ed indipendenza del Papa e della Santa Sede.
D.
- Eccellenza, come testimoniare il Vangelo da cardinale?
R.
- Direi, anzitutto, osservando i dieci Comandamenti, da buon cristiano. Inoltre, ricordando
che si è sacerdoti, vescovi e cardinali non per sé, ma per gli altri. E infine, accrescendo
ancora, per quanto possibile, la dedizione nel servizio alla missione del Papa per
la Chiesa e per il mondo.
D. - Sono passati due
anni e mezzo dall’inizio del Pontificato di Benedetto XVI: a suo parere, eccellenza,
cosa è cambiato nella Chiesa in questo periodo?
R.
- Io vorrei sottolineare anzitutto la grande continuità di questo Pontificato con
il precedente. E’ ben naturale la ricerca di individuare le singolarità di ogni Pontificato,
ma ciò che conta veramente è che la Chiesa è sempre la stessa e il suo messaggio non
cambia, è quello stesso di Cristo, di Pietro, di Paolo, di Leone, di Pio, di Giovanni
e così via. E questo è grande e meraviglioso. Nella Chiesa è, al contempo, certamente
cambiato molto, parallelamente alle mutazioni intervenute nella società interna ai
diversi Paesi e nei rapporti internazionali. Un’analisi condurrebbe lontano… C’è molto
disorientamento, disillusione, delusione, ma ci sono anche nuove attese. Benedetto
XVI ha dato - mi sembra - come un colpo d’ala alla Chiesa con l’Enciclica Deus
caritas est. Questa Enciclica sintetizza in una visione coerente fede e ragione,
amore e verità, l’impeto contemplativo e lo slancio sociale e apostolico. Senza perdere,
però, di vista la compagine della Chiesa, Benedetto XVI vuole che l’attenzione di
tutti sia rivolta principalmente e continuamente a Cristo, come appare da tutta la
sua predicazione ed anche dal suo libro “Gesù di Nazaret”.
D.
- Oggi più che mai urge portare Cristo ai lontani. A suo parere, cosa dovrebbero fare
di più i cristiani?
R. - I cristiani possono fare
tanto, tantissimo. Io sono stato di recente in Malawi, in un Paese piccolo e povero
dell’Africa, e ho visto quanto fanno i missionari e le missionarie e quale grande
aiuto viene anche da semplici fedeli o da organizzazioni private di cattolici dell’Europa.
Le possibilità di fare per chi vuole portare Cristo ai lontani sono infinite, perché
l’amore cristiano è infinitamente inventivo ed efficace. Ma le ricette principali
ed anche le più efficaci le ha date Gesù stesso. La prima ricetta: “Lasciate che la
vostra luce risplenda di fronte agli uomini e che essi vedano le vostre opere buone
e rendano gloria al Padre che è nei cieli”. Questo è l’esempio della vita cristiana.
La seconda ricetta: “Quando pregate dite: Padre venga il tuo Regno”; e quindi bisogna
pregare, perché Dio opera se noi gli prestiamo lo strumento della nostra fede”.