Nella Somalia sempre più travolta dal caos, si dimette il premier Gedi
Il giorno dopo gli aspri combattimenti che hanno causato almeno 3 morti per le strade
di Mogadiscio, il primo ministro somalo, Ali Mohamed Gedi, ha rassegnato le dimissioni
davanti al parlamento provvisorio somalo, a Baidoa. Fonti vicine allo stesso Gedi
hanno rivelato che il premier si è dimesso in seguito a tensioni con il presidente
Abdullahi Ahmed Yusuf e con alcuni ministri del governo. Ma quale significato assumono
queste dimissioni per il Paese africano? Giada Aquilino lo ha chiesto a Angelo
Masetti, portavoce del Forum Italia – Somalia per la pace e la ricostruzione:
R. –
Siamo arrivati alla fine di una vicenda che vedeva ormai contrapposti in maniera molto
violenta il presidente Abdullahi Yusuf Ahmed e il primo ministro Ali
Mohamed Gedi, in un quadro di generale caos nel Paese, di assenza totale di
sicurezza. Queste dimissioni stanno anche a significare che Gedi aveva perso pure
il sostegno del potente alleato etiopico.
D. – Tra
le ragioni delle dimissioni, l’impossibilità di realizzare gli obiettivi del programma,
come l’organizzazione di un censimento, la stesura della costituzione, il buon funzionamento
dell’amministrazione. Perché si tratta di obiettivi che ancora non possono essere
realizzati in Somalia?
R. – Si sono intromesse troppe
potenze straniere. La presenza dei militari etiopici - per esempio - è preponderante,
visibilissima ed è assolutamente mal tollerata dalla maggior parte dei somali, anche
perché si è via via configurata come una presenza di occupazione, non soltanto di
peacekeeping.
D. – Perché tanto interesse per la
Somalia da parte di forze esterne?
R. – Sicuramente
ci sono risorse nel sottosuolo. Tanto è vero che, da quando esiste questo governo,
sono stati firmati degli accordi per prospezioni geologiche alla ricerca di idrocarburi
con diversi Paesi, come Australia e Cina.
D. – Istituzioni
provvisorie, scontri sul terreno, gente che fugge: come vive la popolazione civile?
R.
– La popolazione civile è stremata e disperata: vorrebbe qualcuno che garantisse la
possibilità di uscire di casa senza pericolo di morte. Non è possibile, però, pensare
di risolvere stabilmente tale crisi tenendo fuori dalla porta i grandi attori della
questione somala, che sono ormai i businessmen, cioè quelli che gestiscono l’economia
somala - che non è un’economia trascurabile, nonostante tutto - e i rappresentanti
riconosciuti dei grandi clan.