Rischia di precipitare la situazione al confine tra Turchia e Iraq. Il ministro degli
Esteri di Ankara, Ali Babacan, in visita a Baghdad, ha respinto l'offerta di tregua
condizionata mossa dal PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, sottolineando
che la Turchia non si accorda con un gruppo “terroristico”. Il capo della diplomazia
turca, in Iraq per tentare di disinnescare la crisi causata dalle incursioni dei guerriglieri
curdi, ha, però, ottenuto un pubblico impegno da parte irachena ad un'azione congiunta
per liquidare i campi del PKK in Nord Iraq. Da parte sua, il primo ministro turco
Recep Tayyip Erdogan, durante una conferenza stampa a Londra con il premier britannico
Gordon Brown, ha precisato che Ankara, nel corso di un'eventuale azione militare nel
nord dell'Iraq, non attaccherà che le posizioni del PKK e non ha alcune ambizioni
territoriali nel Paese del Golfo. Una questione, quella curda, che si conferma delicatissima
per l’intero scacchiere mediorientale, soprattutto per le questioni economiche che
hanno frenato la creazione di uno Stato autonomo, a causa della ferrea opposizione
degli Stati limitrofi. A confermarlo il giornalista curdo Abib Fateh Alì, intervistato
da Salvatore Sabatino:
R. –
Si tratta di un Paese ricco non soltanto di petrolio, ma anche di risorse naturali,
come l’agricoltura e le fonti d’acqua di due fiumi importantissimi, come il Tigri
e l’Eufrate, che provengono dai ghiacciai che sono proprio sui monti del Kurdistan.
Ma sono anche altre le risorse di questo Paese. Questo è il motivo principale per
il quale alcuni Paesi, come l’Iran, la Turchia e lo stesso Iraq, si sono sempre dimostrati
ostili alla creazione di uno Stato curdo.
D. – Sul
fronte iracheno, il Kurdistan è sempre stato visto come una regione modello di convivenza
e di pace in quella che è la situazione drammatica che vive il Paese del Golfo. Cosa
cambia a questo punto?
R. – La leadership curda,
e parlo di Barzani e Talabani - uno è il capo del governo autonomo curdo e l’altro
è il presidente dell’Iraq- è davvero cosciente dell’impossibilità della istituzione
o della costituzione di uno Stato curdo, ma sono altrettanto coscienti del fatto che
la popolazione curda nel Kurdistan iracheno è plebiscitariamente per l’indipendenza
dall’Iraq. E questo perché c’è una generazione intera della popolazione curda che
– dal ’91, ossia dalla “no fly zone” imposta dall’ONU alle truppe di Saddam Hussein
riguardo al Kurdistan –di fatto non conosce la lingua araba, perché la televisione
che vedono non è più quella centrale di Baghdad e quindi di lingua araba; non hanno
mai visitato città arabe come, ad esempio, Baghdad (e questo è stato valido anche
per le generazioni precedenti di curdi); hanno semplicemente visto negli arabi o comunque
nell’esercito iracheno un nemico che veniva a “gasarli” come negli anni Ottanta. Oggi,
poi, il Kurdistan gode di una situazione economica e sociale migliore rispetto al
resto del Paese, tanto è vero che moltissimi iracheni da Baghdad sono andati a vivere
nelle città curde. Il sentimento della popolazione curda è, quindi, quello della separazione
dallo Stato iracheno e la leadership curda è cosciente di questa difficoltà ed ha
bisogno di tempo per riuscire a far passare una linea che sia intermedia, quella cioè
di una federazione autonoma, dove possa gestire la propria ricchezza economica, nonché
lo sviluppo della cultura e della lingua curda.
D.
– Questa tensione degli ultimi giorni non rischia, però, di compromettere questo progetto
di convivenza?
R. – Sinceramente non lo so. Personalmente
ritengo, e in questo sono abbastanza confortato da fonti curde, che un intervento
massiccio dei turchi non avverrà. Compromettere, quindi, la possibilità di questo
progetto curdo per una Federazione, metterebbe - secondo me - in discussione i già
precari equilibri che ci sono in Iraq ed anche nell’area mediorientale nel suo insieme.