La Svizzera non si chiuda agli stranieri e all’Europa: così, il vescovo di Lugano,
Pier Giacomo Grampa, dopo il voto che ha visto il successo della destra xenofoba
Dopo la vittoria della destra populista di Christoph Blocher, la Svizzera si interroga
sul proprio futuro e, in particolare, sui suoi rapporti con l’Unione Europea. Già
primo partito dal 2003, l’UDC di Blocher ha ottenuto, domenica scorsa, il 29 per cento
dei consensi in una tornata elettorale che ha anche decretato la sonora sconfitta
dei socialisti e un’avanzata dei Verdi. Dal canto loro, le principali associazioni
imprenditoriali elvetiche hanno sottolineato l’importanza della manodopera straniera
per l’economia della Svizzera in risposta alle posizioni contro l’immigrazione di
Blocher. Per una riflessione sulle speranze e le preoccupazioni della Chiesa elvetica,
dopo queste elezioni, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Lugano,
mons. Pier Giacomo Grampa:
R. –
La Svizzera sta vivendo un momento di contrapposizione forte tra la destra e la sinistra,
che torna un poco a scapito dei partiti storici di centro. Le preoccupazioni sono
che il Paese vada verso una chiusura, soprattutto per quanto riguarda gli stranieri.
Bisogna che non vincano le paure, le preoccupazioni per il posto del lavoro e per
una eccessiva presenza di stranieri nel Paese. Contrariamente a quello che può sembrare,
la percentuale degli stranieri in Svizzera è molto alta: è superiore al 20 per cento
della popolazione residente. Le speranze sono che nel nostro sistema di democrazia
semidiretta vinca la concertazione. La tradizione svizzera è che le principali forze
politiche siano presenti nel governo, perchè si possano trovare con le giuste mediazioni
le soluzioni più opportune.
D. – Un altro tema che
ha sicuramente destato l’attenzione dell’opinione pubblica svizzera è quello dell’Europa.
Anche qui la Chiesa elvetica ha una posizione molto chiara...
D.
– La Chiesa elvetica è una Chiesa aperta, attenta, che favorisce la comprensione e
l’accoglienza anche degli stranieri. Deve, però, tener conto della maggioranza del
Paese che non è ancora matura per aderire all’Europa unita. Intanto, proseguiamo per
la strada degli accordi bilaterali. Occorre essere vigilanti, chiari, propositivi,
coraggiosi, ma anche pazienti per evitare contrapposizioni che poi tornano a danno
del Paese. Occorre avere moderazione ed equilibrio. La Svizzera non è un Paese esposto
agli estremismi.