2007-10-23 13:34:00

Curare la formazione cristiana dei giovani per superare le divisioni tribali e collaborare per l'unità del Paese: è uno degli obiettivi dei vescovi del Gabon, in Vaticano per la visita ad Limina


Sei anni dopo l’ultima visita ad Limina, i vescovi del Gabon sono dai ieri in Vaticano per incontrare Benedetto XVI e riferire dei progressi e delle problematiche che registra la Chiesa del Paese africano. Una Chiesa radicata in uno Stato in buona salute e libera di esprimersi, preoccupata specialmente della diffusione delle sétte religiose e dunque impegnata in modo particolare nella diffusione del Vangelo, soprattutto fra i più giovani. Nei giorni scorsi, poi, il Gabon è tornato alla ribalta per una questione molto dibattuta in campo internazionale. Ce ne parla in questa scheda Alessandro De Carolis:RealAudioMP3


Da ventiquattr’ore, l’attualità di questo Stato africano affacciato sul Golfo di Guinea ha conquistato uno spazio sulle prime pagine della cronaca internazionale con la decisione del suo presidente di abolire la pena di morte. L’annuncio è rimbalzato da Napoli, dal Meeting della Comunità di Sant’Egidio, il giorno dopo la visita alla città di Benedetto XVI. E al suo rientro in Vaticano, il Papa ha trovato proprio i vescovi del Gabon, con il loro carico di questioni pastorali e sociali vissute in uno Stato positivamente “anomalo” rispetto agli standard di molti Paesi africani: uno Stato con una buona economia - grazie a una naturale abbondanza di risorse, specie diamanti - e democraticamente più stabile da circa un ventennio, dopo l’introduzione di una nuova Costituzione e di un sistema multipartico. Prova di questo costante miglioramento delle condizioni di vita sono il crescendo degli insediamenti umani lungo le coste e attorno alla capitale, Libreville, un tempo simbolo di libertà degli ex schiavi che la fondarono e oggi centro portuale di rilievo che produce lavoro e benessere.

 
La storia della Chiesa gabonese ha circa 160 anni. Alla sua origine, simile a quella di tanti altri Paesi un tempo considerati di “frontiera”, c’è la predicazione dei missionari, in questo caso della Congregazione dello Spirito Santo. Del 1899 è la prima ordinazione sacerdotale, a metà degli anni Cinquanta l’istituzione della gerarchia ecclesiale. Più vicina nel tempo e nella memoria dei gabonesi, la visita di Giovanni Paolo II, che arrivò a Libreville nel 1982 e che a 25 anni di distanza ha visto nell’arco di quest’anno una serie di celebrazioni commemorative di quell’evento, imperniate sulla frase che Papa Wojtyla lasciò alla Chiesa locale “Alzati e cammina”. Oggi, su un milione e mezzo di abitanti totali, oltre la metà sono cattolici, suddivisi in un’arcidiocesi metropolitana, quattro diocesi e una prefettura apostolica. La restante metà dei gabonesi appartiene a comunità protestanti o professa credenze tradizionali. Il dato più rilevante è invece la crescita delle sétte religiose, pentecostali soprattutto. Un dato e una sfida per la Chiesa del Gabon, come conferma l’arcivescovo di Libreville, mons. Basile Mvé Engone, intrervistato dal padre gesuita, Jean-Pierre Bodioko:

R. - La Chiesa del Gabon è stata fondata dai padri dello Spirito Santo nel 1844 da p. Bessieux, che ha fondato la prima Chiesa e le prime strutture. Oggi il Paese, indipendente dal 1960, si sforza di creare le condizioni di sviluppo di cui possa beneficiare la gran parte della popolazione. Sul piano sociale il contesto non e’ di lotta ma un contesto dove i responsabili politici si sforzano di ridistribuire le ricchezze a tutti. A dispetto di una situazione generale africana dove spesso si devono attendere aiuti esterni, dobbiamo far sì che lo sviluppo nasca da noi.
 
D. - Tra Stato e Chiesa i rapporti sono buoni?

 
R. - Certo. La Chiesa si pronuncia. ha libertà di parola e d’espressione. Non è ostacolata nei suoi diritti, può dire ciò che crede e lo dice, a vantaggio dell’interesse comune.
 
D. - Mons. Mvé Engone, qual è la sfida principale della Chiesa?
 
R. - Per quanto posso vedere dalla mia diocesi, Libreville, la principale è quella della formazione. La formazione dei cristiani, dei preti, dei seminaristi, perché il messaggio evangelico possa essere inculturato e possa prendere nella società lo spazio che gli compete. Così le persone che ricevono l’annuncio potranno esserne trasformate negli stili di vita, nelle consuetudini familiari. Questa è la sfida della Chiesa, ancor più oggi in cui vediamo una moltitudine di sétte che arrivano dall’estero, in special modo dal continente americano, dal sud e dal nord, e invadono le nostre società dell’Africa subsahariana.

 
D. - Quindi la presenza delle sétte costituisce una sfida anche per la Chiesa del Gabon?
 
R. - Decisamente sì. E’ per questo che mettiamo l’accento sulla formazione e su un’evangelizzazione che tenga conto delle necessità della gente e che si prenda carico dei problemi. Per questo è necessario che si viva una grande comunione tra coloro che credono in Dio e bisogna che vi sia anche una grande condivisione dei beni, di ciò che siamo e di ciò che abbiamo perchè la Chiesa diventi - come abbiamo proclamato in occasione del Sinodo speciale per l’Africa - veramente una Chiesa famiglia dei figli di Dio. In quale famiglia uno può vivere nella povertà più assoluta ed un altro ha tutto? E’ quindi necessaria la condivisione alll’interno della Chiesa.
 
D. - Lei ha parlato poc’anzi della formazione. E quella delle vocazioni, ad esempio alla vita religiosa e sacerdotale?

 
R. - Per quanto attiene alla vita religiosa e sacerdotale potrei dire, prendendo ad esempio la mia diocesi, che le vocazioni sono in crescita. Ad esempio quest’anno ho avuto la gioia di presiedere l’ordinazione di cinque nuovi diaconi. L’anno prossimo quindi avremo cinque nuovi sacerdoti a servizio della diocesi. Parlando sempre della mia diocesi, abbiamo una ventina di seminaristi maggiori e nell'insieme in Gabon si arriva a circa 40-50 seminaristi maggiori. Certo a qualcuno potrebbero sembrare numeri modesti, ma per le esigenze della nostra Chiesa, possiamo veramente ringraziare Dio per ciò che ci dona e progredire sulla strada intrapresa a livello vocazionale.
 
D. - E qual è il posto del laicato nella Chiesa del Gabon?
 
R. - I laici stanno prendendo un posto sempre maggiore nel contesto ecclesiale, noi stiamo lanciando delle associazioni perchè i laici sappiano che la loro presenza è fondamentale, perché la Chiesa cammina con le loro gambe nella società. Devono essere il volto della Chiesa nella società e devono tentare di far scoprire agli altri il volto della Chiesa. Vogliamo quindi che la Chiesa sia presente nella società attraverso i suoi fedeli, i suoi laici, e ci sforziamo di fare in modo che i laici possano in misura maggiore prendere delle responsabilità nella Chiesa. Il nostro compito di pastori è quello di facilitare la loro presa di coscienza.

 
D. - I vescovi del Gabon vengono a Roma per incontrare il successore di Pietro, quali sono le vostre preoccupazioni particolari che portate?

 
R. - Sono numerose, abbiamo parlato adesso della formazione, perché i nostri giovani non siano dei mendicanti che vanno da tutte le parti per avere l’insegnamento cui aspirano. La gioventù infatti è in sé una grande sfida per la nostra Chiesa e per i Paesi dell’Africa. Forgiare buoni cristiani significa lavorare per l’unità. Siamo divisi in numerose tribù, ma non ci sono stranieri, siamo tutti membri di questa Chiesa ed è dunque una grande sfida per la Chiesa fare in modo che le tribù, le razze di ogni Paese e di ogni Chiesa non siano più individui che si combattono, ma di uomini che si tendono la mano e lavorano assieme per il vero sviluppo dei propri Paesi, per la vera unità, per vivere come un popolo, un gruppo umano unito attorno al Vangelo.







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