Curare la formazione cristiana dei giovani per superare le divisioni tribali e collaborare
per l'unità del Paese: è uno degli obiettivi dei vescovi del Gabon, in Vaticano per
la visita ad Limina
Sei anni dopo l’ultima visita ad Limina, i vescovi del Gabon sono dai ieri in Vaticano
per incontrare Benedetto XVI e riferire dei progressi e delle problematiche che registra
la Chiesa del Paese africano. Una Chiesa radicata in uno Stato in buona salute e libera
di esprimersi, preoccupata specialmente della diffusione delle sétte religiose e dunque
impegnata in modo particolare nella diffusione del Vangelo, soprattutto fra i più
giovani. Nei giorni scorsi, poi, il Gabon è tornato alla ribalta per una questione
molto dibattuta in campo internazionale. Ce ne parla in questa scheda Alessandro
De Carolis:
Da ventiquattr’ore,
l’attualità di questo Stato africano affacciato sul Golfo di Guinea ha conquistato
uno spazio sulle prime pagine della cronaca internazionale con la decisione del suo
presidente di abolire la pena di morte. L’annuncio è rimbalzato da Napoli, dal Meeting
della Comunità di Sant’Egidio, il giorno dopo la visita alla città di Benedetto XVI.
E al suo rientro in Vaticano, il Papa ha trovato proprio i vescovi del Gabon, con
il loro carico di questioni pastorali e sociali vissute in uno Stato positivamente
“anomalo” rispetto agli standard di molti Paesi africani: uno Stato con una buona
economia - grazie a una naturale abbondanza di risorse, specie diamanti - e democraticamente
più stabile da circa un ventennio, dopo l’introduzione di una nuova Costituzione e
di un sistema multipartico. Prova di questo costante miglioramento delle condizioni
di vita sono il crescendo degli insediamenti umani lungo le coste e attorno alla capitale,
Libreville, un tempo simbolo di libertà degli ex schiavi che la fondarono e oggi centro
portuale di rilievo che produce lavoro e benessere.
La
storia della Chiesa gabonese ha circa 160 anni. Alla sua origine, simile a quella
di tanti altri Paesi un tempo considerati di “frontiera”, c’è la predicazione dei
missionari, in questo caso della Congregazione dello Spirito Santo. Del 1899 è la
prima ordinazione sacerdotale, a metà degli anni Cinquanta l’istituzione della gerarchia
ecclesiale. Più vicina nel tempo e nella memoria dei gabonesi, la visita di Giovanni
Paolo II, che arrivò a Libreville nel 1982 e che a 25 anni di distanza ha visto nell’arco
di quest’anno una serie di celebrazioni commemorative di quell’evento, imperniate
sulla frase che Papa Wojtyla lasciò alla Chiesa locale “Alzati e cammina”. Oggi, su
un milione e mezzo di abitanti totali, oltre la metà sono cattolici, suddivisi in
un’arcidiocesi metropolitana, quattro diocesi e una prefettura apostolica. La restante
metà dei gabonesi appartiene a comunità protestanti o professa credenze tradizionali.
Il dato più rilevante è invece la crescita delle sétte religiose, pentecostali soprattutto.
Un dato e una sfida per la Chiesa del Gabon, come conferma l’arcivescovo di Libreville,
mons. Basile Mvé Engone, intrervistato dal padre gesuita,
Jean-Pierre Bodioko:
R. - La Chiesa del Gabon è stata fondata dai
padri dello Spirito Santo nel 1844 da p. Bessieux, che ha fondato la prima Chiesa
e le prime strutture. Oggi il Paese, indipendente dal 1960, si sforza di creare le
condizioni di sviluppo di cui possa beneficiare la gran parte della popolazione. Sul
piano sociale il contesto non e’ di lotta ma un contesto dove i responsabili politici
si sforzano di ridistribuire le ricchezze a tutti. A dispetto di una situazione generale
africana dove spesso si devono attendere aiuti esterni, dobbiamo far sì che lo sviluppo
nasca da noi. D. - Tra Stato e Chiesa i rapporti sono
buoni? R. - Certo. La Chiesa si pronuncia.
ha libertà di parola e d’espressione. Non è ostacolata nei suoi diritti, può dire
ciò che crede e lo dice, a vantaggio dell’interesse comune. D.
- Mons. Mvé Engone, qual è la sfida principale della Chiesa? R.
- Per quanto posso vedere dalla mia diocesi, Libreville, la principale è quella della
formazione. La formazione dei cristiani, dei preti, dei seminaristi, perché il messaggio
evangelico possa essere inculturato e possa prendere nella società lo spazio che gli
compete. Così le persone che ricevono l’annuncio potranno esserne trasformate negli
stili di vita, nelle consuetudini familiari. Questa è la sfida della Chiesa, ancor
più oggi in cui vediamo una moltitudine di sétte che arrivano dall’estero, in special
modo dal continente americano, dal sud e dal nord, e invadono le nostre società dell’Africa
subsahariana.
D. - Quindi la presenza delle sétte
costituisce una sfida anche per la Chiesa del Gabon? R. - Decisamente
sì. E’ per questo che mettiamo l’accento sulla formazione e su un’evangelizzazione
che tenga conto delle necessità della gente e che si prenda carico dei problemi. Per
questo è necessario che si viva una grande comunione tra coloro che credono in Dio
e bisogna che vi sia anche una grande condivisione dei beni, di ciò che siamo e di
ciò che abbiamo perchè la Chiesa diventi - come abbiamo proclamato in occasione del
Sinodo speciale per l’Africa - veramente una Chiesa famiglia dei figli di Dio. In
quale famiglia uno può vivere nella povertà più assoluta ed un altro ha tutto? E’
quindi necessaria la condivisione alll’interno della Chiesa. D.
- Lei ha parlato poc’anzi della formazione. E quella delle vocazioni, ad esempio alla
vita religiosa e sacerdotale? R. -
Per quanto attiene alla vita religiosa e sacerdotale potrei dire, prendendo ad esempio
la mia diocesi, che le vocazioni sono in crescita. Ad esempio quest’anno ho avuto
la gioia di presiedere l’ordinazione di cinque nuovi diaconi. L’anno prossimo quindi
avremo cinque nuovi sacerdoti a servizio della diocesi. Parlando sempre della mia
diocesi, abbiamo una ventina di seminaristi maggiori e nell'insieme in Gabon si arriva
a circa 40-50 seminaristi maggiori. Certo a qualcuno potrebbero sembrare numeri modesti,
ma per le esigenze della nostra Chiesa, possiamo veramente ringraziare Dio per ciò
che ci dona e progredire sulla strada intrapresa a livello vocazionale. D.
- E qual è il posto del laicato nella Chiesa del Gabon? R. -
I laici stanno prendendo un posto sempre maggiore nel contesto ecclesiale, noi stiamo
lanciando delle associazioni perchè i laici sappiano che la loro presenza è fondamentale,
perché la Chiesa cammina con le loro gambe nella società. Devono essere il volto della
Chiesa nella società e devono tentare di far scoprire agli altri il volto della Chiesa.
Vogliamo quindi che la Chiesa sia presente nella società attraverso i suoi fedeli,
i suoi laici, e ci sforziamo di fare in modo che i laici possano in misura maggiore
prendere delle responsabilità nella Chiesa. Il nostro compito di pastori è quello
di facilitare la loro presa di coscienza.
D. - I
vescovi del Gabon vengono a Roma per incontrare il successore di Pietro, quali sono
le vostre preoccupazioni particolari che portate? R.
- Sono numerose, abbiamo parlato adesso della formazione, perché i nostri giovani
non siano dei mendicanti che vanno da tutte le parti per avere l’insegnamento cui
aspirano. La gioventù infatti è in sé una grande sfida per la nostra Chiesa e per
i Paesi dell’Africa. Forgiare buoni cristiani significa lavorare per l’unità. Siamo
divisi in numerose tribù, ma non ci sono stranieri, siamo tutti membri di questa Chiesa
ed è dunque una grande sfida per la Chiesa fare in modo che le tribù, le razze di
ogni Paese e di ogni Chiesa non siano più individui che si combattono, ma di uomini
che si tendono la mano e lavorano assieme per il vero sviluppo dei propri Paesi, per
la vera unità, per vivere come un popolo, un gruppo umano unito attorno al Vangelo.