Acceso il dibattito sul caso Englaro. L'Osservatore Romano: "la sentenza della Cassazione
orienta il legislatore verso l'eutanasia"
E’ acceso il dibattito in Italia sul caso di Eluana Englàro, la ragazza in stato vegetativo
dal 1992 a seguito di un incidente stradale. La Cassazione ha stabilito ieri che il
giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione, ma a patto che sia
provata come irreversibile la condizione di stato vegetativo e che sia accertato che
il convincimento etico della giovane avrebbe portato a tale decisione. Per l’Osservatore
Romano la sentenza della Cassazione e' frutto di un inaccettabile "relativismo dei
valori " e orienta “fatalmente il legislatore verso l'eutanasia". Ieri il segretario
della Conferenza episcopale italiana, mons. Giuseppe Betori, aveva ribadito la difesa
della vita fino alla sua naturale conclusione. Per Adriano Pessina, direttore del
Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, la scelta della suprema
Corte suscita diverse “gravi perplessità”. Adriana Masotti gli ha chiesto di spiegare
il perchè.
R. - La
perplessità maggiore è data dal fatto che sembra che la Corte stabilisca che qualora
una persona non fosse più in grado di prendere relazioni, di avere rapporti coscienti,
possa essere in qualche modo abbandonato dal punto di vista assistenziale. Perché
il caso Englaro è il caso di una persona in stato vegetativo persistente, che in questo
momento ha come unico sostegno semplicemente l’alimentazione e l’idratazione. Io trovo
assolutamente paradossale ritenere che si possa rinunciare a questa forma di assistenza
o che si possa teorizzare che la società può smettere di assistere persone che magari
non sono più in grado di intendere e di volere. Poi, il riferimento alla possibilità
che la scienza stabilisca che mai la povera Englaro potrà riprendere coscienza, è
un’altra affermazione che significa non conoscere la scienza. E’ evidente che la scienza
non potrà mai stabilire in assoluto la possibilità di ripresa della coscienza di Englaro.
Ancora più grave è l’idea che si fa riferimento ad una volontà pregressa per cui la
Englaro non avrebbe voluto stare in questa situazione. Ora, il punto fondamentale
non è che qualcuno voglia stare nello stato vegetativo permanente; la questione di
fondo è quando, per un caso qualsiasi e per diversi motivi, uno è in uno stato vegetativo
persistente noi - oltre a cercare di fare di tutto perché riprenda coscienza - non
dobbiamo anche almeno garantirgli quel minimo di assistenza che è l’alimentazione
e l’idratazione?
D. - Chi chiede insistentemente che Eluana non venga più alimentata
lo fa in nome dell’autodeterminazione della persona. In questo caso, non c’è la certezza
che Eluana avrebbe rifiutato l’alimentazione. Ma se avesse lasciato scritto questa
sua volontà, le cose sarebbero state diverse? In sostanza, esiste un diritto a morire?
R.
- Il termine “diritto a morire” è un termine improprio, perché il diritto riguarda
solo la sfera di beni che siano utilizzabili, e la morte non è un bene ma è un fatto.
In secondo luogo, l’idea dell’autodeterminazione non è messa in discussione. La questione
in questo caso è diversa: se il rinunciare a dei trattamenti sproporzionati è assolutamente
legittimo, risulta - secondo me - non accettabile invece l’idea che uno chieda di
essere lasciato a morire di fame e di sete. Qui si tratta di rinunciare ad avere quell’alimentazione
e quell’idratazione che sono il conforto minimo per una persona
D. - La difficoltà
ad emettere un giudizio sul caso Englaro può essere vista comunque come un incoraggiamento
ed una richiesta a che il parlamento legiferi su questi casi? Il testamento biologico,
allora, potrebbe essere la soluzione?
R. - Io ritengo che il testamento biologico
non sia assolutamente uno strumento utile, perché burocratizza una questione molto
delicata, che è il rapporto medico-paziente nelle diverse fasi della vita. Io credo
che su molte questioni si tratti di ritornare ad una formazione etica che tenga in
conto quali sono i beni in gioco e distingua le varie situazioni, perché uno stato
vegetativo persistente non è una persona in coma, non si tratta di un accanimento
terapeutico. Ci sono situazioni molto differenti, che un pezzo di carta non può risolvere.
Continuo a dire: che cosa ci ha fatto di male la Englaro per farla morire di fame
e di sete? Paradossalmente, poi, emerge l’altra frase: “Ma allora a questo punto meglio
ucciderla con un'iniezione letale!”. E qui si vede chiaramente che si vuole farla
finita con questa vita. Una democrazia seria non fa mai delle discriminazioni sulle
persone in base alle loro condizioni mentali e conoscitive. E' in grado di non infierire,
quindi di non fare accanimento terapeutico, ma anche di non abbandonare nessuno.
-