2007-10-14 13:42:40

All'Angelus, appello di Benedetto XVI per la liberazione di due sacedoti rapiti in Iraq. La testimonianza di mons. Sleiman, ausiliare di Baghdad dei Siri


Una preghiera alla Madonna - nel novantesimo anniversario delle apparizioni di Fatima - perché liberi l’umanità dalla “lebbra” della violenza e dell’odio dei quali l’Iraq, con le sue quotidiane pagine di attentati e sangue, è un esempio drammatico. Benedetto XVI, ha legato strettamente questi temi all’Angelus di stamattina, celebrato davanti ad una folla strabocchevole - che ha riempito quasi per intero Piazza San Pietro - e concluso con un accorato appello ai rapitori dei due sacerdoti siro-cattolici di Mossul. Il servizio di Alessandro De Carolis:


“Faccio appello ai rapitori perché rilascino prontamente i due religiosi e, nel ribadire ancora una volta che la violenza non risolve le tensioni, elevo al Signore un’accorata preghiera per la loro liberazione, per quanti soffrono violenza e per la pace”.

 
Queste parole di Benedetto XVI al termine dell’Angelus suggellano, con il loro carico di preoccupazione e di speranza, un momento di preghiera che il Papa aveva intensamente dedicato, nei minuti precedenti, all’invocazione della pace e alla liberazione dell’umanità dalla “lebbra” dell’egoismo e del peccato, allo stesso modo in cui Gesù, duemila anni fa, fece con i dieci lebbrosi del Vangelo, tutti incapaci - tranne uno, uno straniero - di dimostrargli un cenno di gratitudine. La violenza dell’Iraq e dei tanti Iraq del mondo attuale è un segno, ha affermato Benedetto XVI, di un male che deturpa l’umanità dal di dentro, dal suo cuore:
 
“La lebbra che realmente deturpa l’uomo e la società è il peccato; sono l’orgoglio e l’egoismo che generano nell’animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell’umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore. Aprendo il cuore a Dio, la persona che si converte viene sanata interiormente dal male”.

 
I dieci lebbrosi guariti da Gesù sono persone guarite non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Una guarigione dunque più intima e profonda che investe la persona e la salva nel suo insieme. E tale “salvezza”, ha detto il Papa, “è ben più della salute” fisica. Il samaritano che torna da Gesù per ringraziarlo è un uomo guarito nell’anima, poiché Cristo gli dice: “La tua fede ti ha salvato”:

 
“E’ la fede che salva l’uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l’aprirsi dell’uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: ‘grazie’”!
 
E un grazie Benedetto XVI lo ha rivolto alla Madonna di Fatima, che il 13 ottobre di 90 anni fa appariva per l’ultima volta alla Cova d’Iria, in Portogallo, davanti ai tre pastorelli, Lucia, Francesco e Giacinta. In collegamento via satellite, il Papa ha rivolto un pensiero particolare al cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che nello stesso momento, a Fatima, stava presiedendo, asuo nome, la Messa celebrativa delle apparizioni:

 
“Saluto cordialmente lui, gli altri cardinali e vescovi presenti, i sacerdoti che lavorano nel Santuario ed i pellegrini venuti da ogni parte del mondo per l’occasione. Alla Madonna chiediamo per tutti i cristiani il dono di una vera conversione, perché sia annunciato e testimoniato con coerenza e fedeltà il perenne messaggio evangelico, che indica all’umanità la via dell’autentica pace”.

 
Nei saluti in varie lingue, al termine della preghiera mariana, Benedetto XVI ha menzionato in particolare il gruppo presente nella Piazza proveniente dalla cittadina italiana di Desio, giunto a Roma per festeggiare i 150 anni dalla nascita di Pio XI.

 

 
Il rapimento dei due sacerdoti siro-cattolici di Mossul, per la cui liberazione si è espresso questa mattina Benedetto XVI, è l'ennesimo attentato al Chiesa irachena, che condivide le sofferenze del suo popolo ma che fede i cristiani sempre più emarginati. Helene Destombes, della redazione francese della nostra emittente, ha raggiunto telefonicamente in Iraq per un commento il vescovo Jean Benjamin Sleiman, ausiliare di Baghdad dei Siri: RealAudioMP3

 
R. - La situazione dei cristiani in genere, cattolici e non cattolici, rimane sempre una situazione molto precaria ma anche pericolosa. Il cristianesimo in questa zona sta veramente scomparendo. La gente se ne va via: quello che succede a uno fa paura all’altro, e quindi preferiscono andarsene. L’Iraq rischia di trasformarsi in una società invivibile, perché se fanno così con il "ramo verde" - che sono i cristiani, pacifici - cosa faranno con gli altri che non lo sono e dove i conflitti sono ancora più gravi e più violenti? Quindi, la sparizione dei cristiani dall’Iraq vuol dire che la società irachena non ha più le risorse per una vera coesistenza tra diversi.

 
D. - L’appello del Papa questa domenica è un gesto importante per i cristiani che vivono in Iraq e per il popolo iracheno...

 
R. - Certo. Vorrei anche suggerire, se posso, che il Papa facesse un appello anche per altre minoranze che sono schiacciate in questo Paese. Il suo è un appello molto importante: il Papa, quando parla, parla in lui la Verità, parla in lui l’amore, parla in lui la giustizia, parla in lui questo realismo nelle relazioni internazionali ma anche nelle relazioni della società stessa. Per questo il suo appello è molto importante e spero che lo ascoltino e lo rispettino, anche.







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