All'Angelus, appello di Benedetto XVI per la liberazione di due sacedoti rapiti in
Iraq. La testimonianza di mons. Sleiman, ausiliare di Baghdad dei Siri
Una preghiera alla Madonna - nel novantesimo anniversario delle apparizioni di Fatima
- perché liberi l’umanità dalla “lebbra” della violenza e dell’odio dei quali l’Iraq,
con le sue quotidiane pagine di attentati e sangue, è un esempio drammatico. Benedetto
XVI, ha legato strettamente questi temi all’Angelus di stamattina, celebrato davanti
ad una folla strabocchevole - che ha riempito quasi per intero Piazza San Pietro -
e concluso con un accorato appello ai rapitori dei due sacerdoti siro-cattolici di
Mossul. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Faccio appello ai
rapitori perché rilascino prontamente i due religiosi e, nel ribadire ancora una volta
che la violenza non risolve le tensioni, elevo al Signore un’accorata preghiera per
la loro liberazione, per quanti soffrono violenza e per la pace”.
Queste
parole di Benedetto XVI al termine dell’Angelus suggellano, con il loro carico di
preoccupazione e di speranza, un momento di preghiera che il Papa aveva intensamente
dedicato, nei minuti precedenti, all’invocazione della pace e alla liberazione dell’umanità
dalla “lebbra” dell’egoismo e del peccato, allo stesso modo in cui Gesù, duemila anni
fa, fece con i dieci lebbrosi del Vangelo, tutti incapaci - tranne uno, uno straniero
- di dimostrargli un cenno di gratitudine. La violenza dell’Iraq e dei tanti Iraq
del mondo attuale è un segno, ha affermato Benedetto XVI, di un male che deturpa l’umanità
dal di dentro, dal suo cuore: “La lebbra che realmente
deturpa l’uomo e la società è il peccato; sono l’orgoglio e l’egoismo che generano
nell’animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura
il volto dell’umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore. Aprendo il cuore
a Dio, la persona che si converte viene sanata interiormente dal male”.
I
dieci lebbrosi guariti da Gesù sono persone guarite non solo nel corpo, ma anche nello
spirito. Una guarigione dunque più intima e profonda che investe la persona e la salva
nel suo insieme. E tale “salvezza”, ha detto il Papa, “è ben più della salute” fisica.
Il samaritano che torna da Gesù per ringraziarlo è un uomo guarito nell’anima, poiché
Cristo gli dice: “La tua fede ti ha salvato”:
“E’
la fede che salva l’uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con
se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano
sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un
dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente
da Dio. La fede comporta allora l’aprirsi dell’uomo alla grazia del Signore; riconoscere
che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: ‘grazie’”! E
un grazie Benedetto XVI lo ha rivolto alla Madonna di Fatima, che il 13 ottobre di
90 anni fa appariva per l’ultima volta alla Cova d’Iria, in Portogallo, davanti ai
tre pastorelli, Lucia, Francesco e Giacinta. In collegamento via satellite, il Papa
ha rivolto un pensiero particolare al cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone,
che nello stesso momento, a Fatima, stava presiedendo, asuo nome, la Messa celebrativa
delle apparizioni:
“Saluto cordialmente lui, gli
altri cardinali e vescovi presenti, i sacerdoti che lavorano nel Santuario ed i pellegrini
venuti da ogni parte del mondo per l’occasione. Alla Madonna chiediamo per tutti i
cristiani il dono di una vera conversione, perché sia annunciato e testimoniato con
coerenza e fedeltà il perenne messaggio evangelico, che indica all’umanità la via
dell’autentica pace”.
Nei saluti in varie lingue,
al termine della preghiera mariana, Benedetto XVI ha menzionato in particolare il
gruppo presente nella Piazza proveniente dalla cittadina italiana di Desio, giunto
a Roma per festeggiare i 150 anni dalla nascita di Pio XI.
Il
rapimento dei due sacerdoti siro-cattolici di Mossul, per la cui liberazione si è
espresso questa mattina Benedetto XVI, è l'ennesimo attentato al Chiesa irachena,
che condivide le sofferenze del suo popolo ma che fede i cristiani sempre più emarginati.
Helene Destombes, della redazione francese della nostra emittente, ha raggiunto
telefonicamente in Iraq per un commento il vescovo Jean Benjamin Sleiman, ausiliare
di Baghdad dei Siri:
R.
- La situazione dei cristiani in genere, cattolici e non cattolici, rimane sempre
una situazione molto precaria ma anche pericolosa. Il cristianesimo in questa zona
sta veramente scomparendo. La gente se ne va via: quello che succede a uno fa paura
all’altro, e quindi preferiscono andarsene. L’Iraq rischia di trasformarsi in una
società invivibile, perché se fanno così con il "ramo verde" - che sono i cristiani,
pacifici - cosa faranno con gli altri che non lo sono e dove i conflitti sono ancora
più gravi e più violenti? Quindi, la sparizione dei cristiani dall’Iraq vuol dire
che la società irachena non ha più le risorse per una vera coesistenza tra diversi.
D.
- L’appello del Papa questa domenica è un gesto importante per i cristiani che vivono
in Iraq e per il popolo iracheno...
R. - Certo. Vorrei
anche suggerire, se posso, che il Papa facesse un appello anche per altre minoranze
che sono schiacciate in questo Paese. Il suo è un appello molto importante: il Papa,
quando parla, parla in lui la Verità, parla in lui l’amore, parla in lui la giustizia,
parla in lui questo realismo nelle relazioni internazionali ma anche nelle relazioni
della società stessa. Per questo il suo appello è molto importante e spero che lo
ascoltino e lo rispettino, anche.