Il cardinale Martino al Corso di formazione dei cappellani militari: "la guerra non
è un diritto"
“La difesa della dignità umana è l’unico raggio di luce nelle tenebre della guerra.
Un raggio di luce che può illuminare le menti, una piccola fiamma che può dissolvere
l’odio e il risentimento nei cuori, un sottile filo rosso che consente all’uomo di
non perdersi e di non fermarsi nel cammino d’amore che conduce a Dio”. Queste parole
del presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cardinale Renato
Raffaele Martino, a conclusione stamani in Vaticano del II Corso internazionale di
formazione dei cappellani militari cattolici al diritto umanitario, danno un’idea
della profonda e complessa riflessione compiuta nei due giorni dell’assise, che ha
radunato a Palazzo San Calisto un’ottantina di ordinari e cappellani militari nonché
di esperti di 30 Paesi del mondo. Il servizio di Paolo Scappucci:
“La guerra
non è un diritto – ha affermato il porporato – e anche qualora essa sia dettata dalla
necessità di difendere l’innocente deve essere sottoposta a precise regole compatibili
con la dignità umana. In questa prospettiva – ha aggiunto il presidente di Giustizia
e Pace, il dicastero vaticano promotore dell’iniziativa insieme alla Congregazione
per i Vescovi e ai Pontifici Consigli per il Dialogo Interreligioso e per l’Unità
dei Cristiani – non per un semplice calcolo politico o strategico, il diritto internazionale
umanitario è da annoverare tra le espressioni più felici ed efficaci che promanano
dalla verità della pace”. E da qui discendono il pieno appoggio della Chiesa a quanto
il diritto umanitario propone e il sincero impegno di ogni autentico credente ad attuarne
i principi anche nelle estreme e brutali situazioni dei conflitti armati.
In
precedenza, nella prima delle quattro relazioni della mattinata dedicate alla cooperazione
tra religioni e società civile, l’arcivescovo statunitense Edwin F. O’Brien, ordinario
militare emerito degli Stati Uniti, aveva tra l’altro accennato alla delicata distinzione
morale tra tecniche lecite d’interrogatorio e tortura nel caso di prigionieri terroristi.
Al riguardo egli ha definito “deviato e assolutamente barbarico” il trattamento dei
prigionieri nel carcere americano di Abu Ghraib, aggiungendo come “significativa”
l’assenza di un cappellano in tale prigione, nonostante che il regolamento militare
lo richieda espressamente. La segretaria
generale della Caritas Gerusalemme, Claudette Habesch, intervenuta successivamente
sul tema della difesa della dignità umana in caso di conflitti armati, si era fatta
dolorosa portavoce delle quotidiane violazioni dei diritti umani e dei principi umanitari
in Terra Santa, sottolineando l’azione della Chiesa cattolica in difesa della giustizia
e della pace nella regione.
L’arcivescovo Tomasi,
osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e le Organizzazioni
internazionali di Ginevra, nel trattare il tema dell’identità e neutralità del diritto
umanitario, aveva messo in luce l’opportunità e le difficoltà di affiancare ai simboli
tradizionali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa il nuovo simbolo del “Cristallo
Rosso” (un quadrato rosso poggiato su un angolo), secondo le indicazioni del III Protocollo
alle Convenzioni di Ginevra.
Sul difficile e complesso
argomento, infine, del rapporto tra armi nucleari e diritto umanitario dal punto di
vista morale e giuridico, il giudice e vice-presidente emerito della Corte internazionale
di Giustizia dell’Aja, Raymond Ranjeva, aveva ricordato il pronunciamento della Corte
stessa, secondo cui la minaccia o l’impiego delle armi nucleari sarebbe generalmente
contro il diritto internazionale, stante l’obbligo giuridico della denuclearizzazione.
Egli aveva inoltre rilevato l’esigenza di negoziare un nuovo sistema di sicurezza
collettiva, in un quadro necessariamente multilaterale. Ma quali sono stati gli
obiettivi di questo corso? Giovanni Peduto lo ha chiesto a mons. Salvatore
Genchi, vicario generale dell'Ordinariato militare per l'Italia: R.
– Le rispondo con l’indirizzo di saluto che il Santo Padre ha rivolto a questo simposio.
Lo scopo è quello di promuovere nel mondo militare, sempre più rispetto, dignità umana,
e i suoi inalienabili diritti. Ci si incontra proprio per portare avanti nel nostro
mondo sempre più minacciato, un interesse per il rispetto di tutti, soprattutto dei
più deboli e dei più poveri. D. - Cosa possono fare i cappellani
militari per il diritto umanitario?
R. – I cappellani
militari si interrogano, studiano, si impegnano soprattutto nelle realtà, nei teatri
di guerra, con la loro presenza di sacerdoti cattolici, ma anche quelli di altre religioni.
Una presenza che richiama valori più alti e che stimola un impegno per il rispetto
della persona umana e di tutte le persone, soprattutto quelle più deboli e indifese.
D.
- Qual è la sua esperienza personale di cappellano militare?
R.
– La mia esperienza personale di cappellano militare è quella di un sacerdote che
in questo ambiente ha sempre dialogato; una presenza che ascolta, che stimola per
quanto possibile ai valori più alti. In fondo, mi sono sempre sentito un parroco che
vive in mezzo alla sua gente e che cerca di offrire un sostegno soprattutto con la
presenza, e quando è necessario anche con la parola.
D.
- Come può cambiare in meglio il mondo militare nel terzo millennio?
R.
– Ritengo che il mondo militare possa cambiare in meglio proprio mettendosi nella
prospettiva di impegno per la pace. Una volta forse, o nella mentalità comune, i militari
sono considerati come coloro che fanno la guerra e invece ci stanno dimostrando, almeno
i nostri italiani sicuramente, di essere una presenza che costruisce, che promuove
la pace, una presenza che si mette soprattutto a difesa dei più deboli. Pur essendo
armati non ricercare la guerra ma mettersi nelle situazioni più delicate a difesa
dei più deboli.