2007-10-13 15:16:16

Il cardinale Martino al Corso di formazione dei cappellani militari: "la guerra non è un diritto"


“La difesa della dignità umana è l’unico raggio di luce nelle tenebre della guerra. Un raggio di luce che può illuminare le menti, una piccola fiamma che può dissolvere l’odio e il risentimento nei cuori, un sottile filo rosso che consente all’uomo di non perdersi e di non fermarsi nel cammino d’amore che conduce a Dio”. Queste parole del presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cardinale Renato Raffaele Martino, a conclusione stamani in Vaticano del II Corso internazionale di formazione dei cappellani militari cattolici al diritto umanitario, danno un’idea della profonda e complessa riflessione compiuta nei due giorni dell’assise, che ha radunato a Palazzo San Calisto un’ottantina di ordinari e cappellani militari nonché di esperti di 30 Paesi del mondo. Il servizio di Paolo Scappucci:RealAudioMP3


“La guerra non è un diritto – ha affermato il porporato – e anche qualora essa sia dettata dalla necessità di difendere l’innocente deve essere sottoposta a precise regole compatibili con la dignità umana. In questa prospettiva – ha aggiunto il presidente di Giustizia e Pace, il dicastero vaticano promotore dell’iniziativa insieme alla Congregazione per i Vescovi e ai Pontifici Consigli per il Dialogo Interreligioso e per l’Unità dei Cristiani – non per un semplice calcolo politico o strategico, il diritto internazionale umanitario è da annoverare tra le espressioni più felici ed efficaci che promanano dalla verità della pace”. E da qui discendono il pieno appoggio della Chiesa a quanto il diritto umanitario propone e il sincero impegno di ogni autentico credente ad attuarne i principi anche nelle estreme e brutali situazioni dei conflitti armati.

 
In precedenza, nella prima delle quattro relazioni della mattinata dedicate alla cooperazione tra religioni e società civile, l’arcivescovo statunitense Edwin F. O’Brien, ordinario militare emerito degli Stati Uniti, aveva tra l’altro accennato alla delicata distinzione morale tra tecniche lecite d’interrogatorio e tortura nel caso di prigionieri terroristi. Al riguardo egli ha definito “deviato e assolutamente barbarico” il trattamento dei prigionieri nel carcere americano di Abu Ghraib, aggiungendo come “significativa” l’assenza di un cappellano in tale prigione, nonostante che il regolamento militare lo richieda espressamente.

La segretaria generale della Caritas Gerusalemme, Claudette Habesch, intervenuta successivamente sul tema della difesa della dignità umana in caso di conflitti armati, si era fatta dolorosa portavoce delle quotidiane violazioni dei diritti umani e dei principi umanitari in Terra Santa, sottolineando l’azione della Chiesa cattolica in difesa della giustizia e della pace nella regione.

 
L’arcivescovo Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e le Organizzazioni internazionali di Ginevra, nel trattare il tema dell’identità e neutralità del diritto umanitario, aveva messo in luce l’opportunità e le difficoltà di affiancare ai simboli tradizionali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa il nuovo simbolo del “Cristallo Rosso” (un quadrato rosso poggiato su un angolo), secondo le indicazioni del III Protocollo alle Convenzioni di Ginevra.

 
Sul difficile e complesso argomento, infine, del rapporto tra armi nucleari e diritto umanitario dal punto di vista morale e giuridico, il giudice e vice-presidente emerito della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, Raymond Ranjeva, aveva ricordato il pronunciamento della Corte stessa, secondo cui la minaccia o l’impiego delle armi nucleari sarebbe generalmente contro il diritto internazionale, stante l’obbligo giuridico della denuclearizzazione. Egli aveva inoltre rilevato l’esigenza di negoziare un nuovo sistema di sicurezza collettiva, in un quadro necessariamente multilaterale.  Ma quali sono stati gli obiettivi di questo corso? Giovanni Peduto lo ha chiesto a mons. Salvatore Genchi, vicario generale dell'Ordinariato militare per l'Italia:RealAudioMP3

 
R. – Le rispondo con l’indirizzo di saluto che il Santo Padre ha rivolto a questo simposio. Lo scopo è quello di promuovere nel mondo militare, sempre più rispetto, dignità umana, e i suoi inalienabili diritti. Ci si incontra proprio per portare avanti nel nostro mondo sempre più minacciato, un interesse per il rispetto di tutti, soprattutto dei più deboli e dei più poveri.

D. - Cosa possono fare i cappellani militari per il diritto umanitario?

 
R. – I cappellani militari si interrogano, studiano, si impegnano soprattutto nelle realtà, nei teatri di guerra, con la loro presenza di sacerdoti cattolici, ma anche quelli di altre religioni. Una presenza che richiama valori più alti e che stimola un impegno per il rispetto della persona umana e di tutte le persone, soprattutto quelle più deboli e indifese.

 
D. - Qual è la sua esperienza personale di cappellano militare?

 
R. – La mia esperienza personale di cappellano militare è quella di un sacerdote che in questo ambiente ha sempre dialogato; una presenza che ascolta, che stimola per quanto possibile ai valori più alti. In fondo, mi sono sempre sentito un parroco che vive in mezzo alla sua gente e che cerca di offrire un sostegno soprattutto con la presenza, e quando è necessario anche con la parola.

 
D. - Come può cambiare in meglio il mondo militare nel terzo millennio?

 
R. – Ritengo che il mondo militare possa cambiare in meglio proprio mettendosi nella prospettiva di impegno per la pace. Una volta forse, o nella mentalità comune, i militari sono considerati come coloro che fanno la guerra e invece ci stanno dimostrando, almeno i nostri italiani sicuramente, di essere una presenza che costruisce, che promuove la pace, una presenza che si mette soprattutto a difesa dei più deboli. Pur essendo armati non ricercare la guerra ma mettersi nelle situazioni più delicate a difesa dei più deboli.







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