2007-10-12 15:30:53

A Norcia, laici e cattolici si confrontano su scienza e fede, in un incontro promosso dalla Fondazione Magna Carta


Religione, scienza e la prova della ragione. E’ questo il tema al quale quest’anno la Fondazione Magna Carta dedica il tradizionale appuntamento fra laici e cattolici nell’ambito degli “Incontri di Norcia – A Cesare e a Dio”. Scienziati e intellettuali di diverso orientamento si confronteranno, domani e domenica nella città umbra, sul terreno quanto mai attuale del rapporto tra scienza e fede. In tale occasione, verrà inoltre presentato il documento “Fides, ratio, scientia. Il dibattito sull’evoluzionismo” del cardinale Christoph Schönborn. Tra quanti interverranno alla due giorni di Norcia, c’è anche la prof.ssa Assuntina Morresi, docente di Chimica fisica all’Università di Perugia, che in questa intervista di Alessandro Gisotti si sofferma sui rischi di una visione ideologica della scienza:RealAudioMP3

 
R. – La scienza vera non è altro che la sfida fra la ragione dell’uomo, che vuole comprendere il significato della realtà e la realtà che si svela pian piano. Da questo punto di vista non c’è nessun problema fra scienza e fede. Il problema sorge quando la scienza viene adottata come unico punto di vista e diventa l’unica misura della realtà. A quel punto, però, non è più scienza, ma ideologia. La comunicazione di alcune scoperte scientifiche fatte passare come la risoluzione di tutti i problemi dell’umanità spinge ad una lettura ideologica della scienza, che però con la scienza ha ben poco a che fare.

 
D. – Il Papa ha messo più volte in guardia dai rischi di una scienza che si pretenda completamente autonoma nei confronti delle norme morali iscritte nella natura dell’essere umano. Dunque, è l’approccio ideologico che incide su questo “delirio di onnipotenza” della scienza, in particolare della tecnica...

 
R. - Sì, assolutamente! Noi non stiamo parlando più della scienza vera e propria, ma di un’ideologia scientista, che pretende di essere l’unico metro di misura. Questo tipo di applicazioni tecnoscientifiche non sono rispettose dell’uomo perchè non guardano innanzitutto il dato reale. La questione che anche ieri il Papa ha richiamato con l’ambasciatore della Corea del Sud presso la Santa Sede, cioè l’appello a non utilizzare gli embrioni umani per la ricerca, a non vivisezionarli, a non distruggerli, è un appello che fa innanzitutto riferimento al realismo dello scienziato. Se lo scienziato guarda nel microscopio e vede un embrione umano, sa già che la scienza, quella buona, non può utilizzare, strumentalizzare un uomo per, presumibilmente, salvare una vita ad un altro uomo. Questa non è scienza, l’abbiamo rifiutata da tanti anni.

 
D. – Benedetto XVI sottolinea, come già peraltro l’allora cardinale Ratzinger, la necessità di “allargare la ragione”. Come raccogliere questa sfida? Come la raccoglie lei, una persona che dedica la sua vita alla ricerca scientifica?

 
R. – Innanzitutto, allargare la ragione significa, nel lavoro di uno scienziato, cogliere tutti i fattori della realtà. Il che significa che per esempio non si può solo guardare all’utilità di una scoperta scientifica, ma bisogna innanzitutto guardare all’oggetto della ricerca scientifica e per che cosa si usa nella ricerca scientifica. Se l’oggetto è il bene dell’uomo, se il fine è il bene dell’uomo, noi non possiamo strumentalizzare l’uomo, utilizzandolo e distruggendolo per il bene di un altro. Allargare la ragione significa osservare tutti i fattori della realtà e cercare di cogliere tutte le implicazioni che il nostro lavoro di scienziati ha. Se se ne colgono solo alcune e si chiudono gli occhi davanti ad altre allora il lavoro non è corretto dal punto di vista scientifico e non è soprattutto corretto come atteggiamento di onestà intellettuale.







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