Sri Lanka: non un missionario gesuita, ma un sacerdote diocesano, il religioso ucciso
ieri da un ordigno
Era un sacerdote diocesano e non un missionario gesuita, come comunicato inizialmente,
padre Nicholas Pillai Packiya Ranjith, 40 anni, il religioso ucciso ieri nello Sri
Lanka, per l’esplosione di una mina controllata a distanza, al passaggio del veicolo
su cui viaggiava. Il sacerdote, srilankese, era il coordinatore delle attività del
Jesuit Refugees Service (JRS), organizzazione umanitaria internazionale dei Gesuiti,
nella diocesi di Mannar, capoluogo dell’omonima provincia settentrionale dell’isola.
Il religioso è morto mentre portava cibo e beni di prima necessità all’orfanotrofio
e al campo rifugiati di Vidathaltheevu. Secondo fonti del JRS di Colombo, l’esplosione
ha sorpreso padre Packiya Ranjith sulla Poonery Road, mentre attraversava una zona
presidiata dai ribelli delle Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (LTTE). A
bordo del furgoncino su cui viaggiava, sormontato da bandiera bianca, si trovava anche
l’assistente del sacerdote, un laico di nome Christopher Jujin, che ora lotta tra
la vita e la morte. Da parte loro, i ribelli hanno accusato l’esercito srilankese
dell’accaduto, condannandolo. “Non è ancora chiaro chi abbia commesso il fatto – fanno
sapere dalla diocesi di Mannar – ma chiunque ne sia responsabile, condanniamo fermamente
questi atti di violenza contro innocenti”. E condanna anche dall’arcivescovo di Colombo,
mons. Oswald Gomis. “Padre Ranjith – si legge nel comunicato del JRS -, era un prete
mite, senza paura, giovane e dinamico, che si è sempre battuto per la causa della
giustizia. La sua morte è una perdita irreparabile per l’intera famiglia del Jesuith
Refugee Service”. I funerali sono in programma domani. Dall’inizio della guerra civile
in Sri Lanka, nel 1983, sono oltre 68 mila le vittime, cinquemila delle quali dalla
ripresa degli scontri nel 2006, dopo quattro anni di tregua. (A cura di Roberta
Moretti)