2007-09-28 15:04:01

Myanmar: prosegue la protesta. Sale il numero delle vittime. Domani nel Paese l'inviato dell'ONU


Il Myanmar senza tregua. Proseguono ancora oggi le proteste contro la giunta militare che fatica a tenere sotto controllo i dimostranti. Incerto il numero delle vittime della violenza, secondo alcune fonti sarebbero 15 ma per altre è una stima che andrebbe raddoppiata. Chiarimenti sono stati chiesti dal Giappone per l’uccisione a distanza ravvicinata di un reporter. Domani è atteso nel Paese l’inviato dell’ONU, Ibrahim Gambari, mentre il Consiglio per i Diritti Umani ha deciso per martedì una riunione straordinaria sulla difficile situazione in Myanmar. Il servizio di Benedetta Capelli:RealAudioMP3


Yangon è una città in assetto di guerra: negozi, scuole e uffici chiusi, filo spinato intorno alla pagoda di Sule e militari a presiedere i punti nevralgici della capitale. Non c’è coprifuoco che tenga per i manifestanti. Circa diecimila oggi sono scesi in strada a gridare gli slogan contro l’esercito. Non si hanno notizie di vittime ma si sono uditi spari ed i soldati hanno effettuato diverse cariche. I militari, secondo un sito di esuli birmani, sarebbero divisi. Alcuni non avrebbero obbedito all’ordine di sparare sulla folla e per questo il comandante delle forze di Yangon sarebbe stato arrestato ma è una voce non confermata. Altre fonti, inoltre, riportano la notizia di movimenti dell’esercito: aerei in volo dalla base aerea di Matehtilar e truppe che dal centro del Paese si starebbero spostando verso la capitale. Continuano comunque i raid nei monasteri buddisti: 4 religiosi sono stati arrestati. Il Giappone ha chiesto chiarimenti sulla morte del fotoreporter ucciso ieri ad una distanza ravvicinata come dimostra una drammatica sequenza di un filmato amatoriale trasmesso da tutte le tv di Tokyo. Per ora la cifra ufficiale delle vittime è di 15 morti ma, per l’ambasciatore australiano in Myamnar, è un numero da raddoppiare. Manca internet, strumento di diffusione della protesta, e molti settimanali hanno deciso di non uscire più. Le speranze della comunità internazionale sono riposte nella missione dell'inviato speciale dell'ONU, Gambari, a cui ieri la giunta militare ha concesso il visto. Oggi è giunto a Singapore e domani è atteso a Yangon. Intanto gli Stati Uniti, che hanno deciso sanzioni contro 14 dirigenti del regime, hanno chiesto alla Cina di esercitare la sua influenza per una pacifica transizione del Paese verso la democrazia.

Si moltiplicano intanto nel mondo le manifestazioni in sostegno dell’opposizione birmana e le richieste della società civile per un intervento della comunità internazionale. Stefano Leszczynski ha chiesto a Cecilia Brighi, sindacalista della CISL ed esperta dell’area, come valuti l’attuale situazione:RealAudioMP3


R. - La situazione è molto grave e molto difficile, proprio perché le decisioni che si stanno prendendo in queste ore arrivano troppo tardi. Inoltre non coinvolgono tutto il mondo perché l’Unione Europea, che stabilirà le sanzioni economiche, non è stata in grado di influenzare - o finora non lo ha voluto fare – la Cina e la Russia, che hanno forti rapporti economici, commerciali e militari con la Birmania.

 
D. – Molto più attiva sembra essere stata la società civile?

 
R. – Sì è così. Penso che i governi dovrebbero tenere conto della sensibilità della società civile e delle organizzazioni sindacali. In Italia, la CISL, per anni ha chiesto agli esecutivi, anche quelli precedenti, di agire in modo deciso. Mi auguro che questa iniziativa trovi uno sbocco positivo e sia, quindi, sentita ed ascoltata.

 
D. – Si può dire che queste manifestazioni definitivamente segnano la fine politica, comunque, del regime militare in Birmania?

 
R. – Purtroppo non è così, perché la giunta è ancora forte. Senz’altro segnano uno squarcio forte nel mondo che finalmente si è svegliato ed ha capito cosa sta succedendo in quel Paese. Saranno probabilmente uno strumento per la fine, almeno politica, del regime militare.







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