Il Consiglio d'Europa dice sì alla "Giornata europea contro la pena di morte"
Il ministro degli esteri italiano Massimo D'Alema ha proposto una task force a New
York per accelerare il cammino della risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni.
'Alema ha parlato all'evento sulla pena di morte organizzato da Italia e Portogallo
al Palazzo di Vetro. Ieri il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione con la
quale ricorda che la presidenza dell'UE ha ricevuto il mandato di elaborare e presentare
il testo su una moratoria internazionale, in materia di pena di morte, da trasmettere
all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il Consiglio d'Europa ha proclamato, poi
, il dieci ottobre "Giornata europea contro la pena di morte". Ascoltiamo al microfono
di Fausta Speranza il vicepresidente del Parlamento europeo, Mario Mauro
R.
– Anzitutto, dobbiamo tener presente che il contenuto della stessa Risoluzione può
creare problemi. Lo ha messo in evidenza anche il leader dei liberaldemocratici qui
al Parlamento europeo, Graham Watson, richiamando l’attenzione sul fatto che l’Europa
a giugno ha raggiunto una posizione comune sulla via da seguire: moratoria universale
con l’obiettivo, più a lungo termine, dell’abolizione della pena di morte. Se si vuole
giungere, entro dicembre, ad un voto utile dell’Assemblea dell’ONU, occorre ora mantenere
questa linea; e, quindi, tutti i testi che ne devono discendere devono essere coerenti
con questa linea. La dicotomia tra moratoria ed abolizione della pena capitale, o
addirittura, il tentativo di ribaltare la posizione dell’Unione Europea, chiaramente
espressa a favore della moratoria, e solo in prospettiva dell’abolizione, può essere
usata da qualcuno all’interno del Palazzo di Vetro per alienare l’adesione di molti
Paesi, tra questi addirittura quelli coautori della Risoluzione, soprattutto il Messico
e le Filippine. Questo scenario non è tanto fantascientifico, perché è esattamente
lo scenario che è andato in onda le altre volte, come nel caso di alcuni Paesi scandinavi
che si sono lasciati incastrare nel meccanismo dei passaggi delle varie dichiarazioni;
questi Paesi, temendo che la moratoria rappresentasse un abbandono definitivo della
prospettiva abolizionista, si sono tirati indietro.
D.
– Onorevole Mauro, la discussione all'ONU per la moratoria della pena capitale con
l’obiettivo di arrivare all’abolizione, è una tappa, comunque un successo da sottolineare?
R.
– Se si verificasse questa ipotesi è assolutamente un successo. Un successo che va,
secondo me, approfondito attraverso l’analisi di quello che è attualmente il contesto.
Nel mondo, oltre la metà dei Paesi – e cioè 129 – ha ormai abolito la pena di morte
o de iure o de facto; 89 Paesi l’hanno abolita per tutti i reati; 10 Paesi l’hanno
abolita per tutti i reati, tranne casi eccezionali, come quelli relativi a crimini
di guerra; 30 Paesi possono essere considerati de facto abolizionisti, in quanto mantengono
giuridicamente la pena di morte, ma non la praticano da più di 10 anni. Si ritiene
che in essi sia vigente una politica ed una prassi di non compiere esecuzioni. Le
cifre relative all’applicazione della pena di morte, nonostante questi progressi che
sono stati ottenuti in questi anni, rimangono però preoccupanti. Nel 2006 sono state
con certezza uccise almeno 1.591 persone in 25 Paesi e sono state condannate alla
pena capitale altre 3.861 in 55 Stati. I Paesi che sicuramente contribuiscono in ordine
decrescente al fenomeno sono prima di tutto la Cina, l’Iran, il Pakistan, l’Iraq,
il Sudan e gli Stati Uniti. In questo contesto, e conoscendo gli agganci sul fronte
della diplomazia internazionale di cui questi ultimi Paesi che ho citato fruiscono,
bisogna pensare che se si facesse il passaggio della moratoria, sarebbe comunque un
assoluto successo e costituirebbe forse per alcuni di questi Paesi anche una sorta
di scappatoia rispetto alle opinioni pubbliche dei propri Paesi o agli assetti di
potere presenti in questi Paesi per poter fare in qualche modo marcia indietro rispetto
a dichiarazioni dei propri capi di Stato e di governo che altrimenti dovrebbero sempre
e comunque tendere in senso contrario.