Oggi e domani su Raiuno la fiction su San Giuseppe Moscati, il medico dei poveri
Andrà in onda in due puntate, oggi e domani in prima serata, su Raiuno la fiction
dedicata a San Giuseppe Moscati, il “medico dei poveri”, canonizzato da Giovanni Paolo
II il 25 ottobre 1987. A impersonarlo sarà Beppe Fiorello, visto in altri sceneggiati
televisivi nei panni di Salvo D’Acquisto, Joe Petrosino, don Pino Puglisi e Valentino
Mazzola. Padre Vito Magno gli ha chiesto quali emozioni abbia provato:
R. –
La sensazione è stata quella di grande gioia nell'interpretare un uomo di grande amore
profondità con un senso altissimo per la disponibilità per gli altri senza alcun limite.
D. – Che idea si è fatta di lui?
R.
– Di un uomo e di un medico che si è dato soprattutto ai poveri. Non è facile. La
società moderna non produce più questo genere di umanità: c’è poco tempo per concentrarsi
sulla disponibilità verso gli altri.
D. – Conosceva
la storia di Moscati prima di fare il film?
R. –
Purtroppo no e purtroppo lo conoscono in pochi. Questo è stato il motivo che mi ha
spinto a raccontare questo personaggio e questa storia.
D.
– Come ha scoperto questa grande figura di medico e di santo?
R.
– L’ho scoperta insieme al produttore, mentre giravamo a Napoli. Scoprimmo questa
figura e ci siamo domandati perché non provare a raccontare questa storia. Inizialmente
per la televisione sembrava forse un personaggio poco noto e quindi poco coinvolgente.
Ma allora sono stato lì ad insistere che proprio per questo andava raccontato. Si
doveva raccontare proprio perché lo si conosce poco.
D.
– Le è riuscito facile o difficile entrare nel personaggio?
R.
– Essere Moscati è stato complesso, anche da un punto di vista religioso. Io sono
un uomo che ha ancora molti dubbi. Credo che Dio sia in ogni essere umano; credo in
un Dio quotidiano, ma vivo ancora qualche dubbio. Ma credo che il dubbio possa essere
un fondamento buono per diventare un buon credente.
D.
– Il film, Beppe Fiorello, le ha dunque permesso di guardarsi dentro?
R.
– Assolutamente sì e mentre giravo, mi chiedevo: “Sarò mai capace di fare un millesimo
di quello che ha fatto Moscati? Sarò mai capace di essere come lui?”. In realtà, poi,
le risposte arrivavano semplicemente perché non bisogna ambire a quelle figure così
grandi. Quello che questo film ci fa capire è che anche nel piccolo gesto quotidiano
ci può essere un grande uomo.
D. – Immagino che
durante la lavorazione ha anche pregato San Giuseppe Moscati?
R.
– Sì e gli chiedevo di darmi la forza per poterlo interpretare con la giusta dignità.
D. – Delle tante scene girate, quale ha vissuto
con più intensità?
R. – C’è un inquadratura dove
non ci sono parole, c’è solo uno sguardo: è la prima volta che vediamo Giuseppe Moscati
entrare in un ospedale e vedere una distesa immensa di letti con i malati. C’è un’inquadratura
molto bella che fa il regista, Giacomo Campitoti, sugli occhi di Giuseppe Moscati,
che guarda questo ospedale con un amore profondo, come se avesse visto una donna meravigliosa
o dei bambini gioiosi giocare.
D. – A proposito
di donne, si parla nel film anche dell’amore umano che Moscati aveva avuto verso una
giovane della nobiltà napoletana...
R. – Di questo
c’è una parte abbastanza romanzata, perché non abbiamo trovato molti documenti o molte
testimonianze al riguardo. C’è un piccola storia, che ha una partenza, ma poi è così
forte l’amore che Moscati porta per i malati che quella storia di amore sfuma e diventa
un’amicizia. Non è, quindi, una rinuncia. Si tratta di un altro percorso di vita che
lo chiama.