Myanmar: pugno di ferro dei militari contro la protesta pacifica guidata dai monaci
buddisti
Almeno tre morti e numerosi feriti: svolta violenta, oggi in Myanmar, alle manifestazioni
di piazza capeggiate dai monaci buddisti, che da nove giorni protestano contro il
regime militare per le strade dell’ex capitale Yangon, sostenuti dalla folla, marciando
al grido di ‘democrazia, democrazia’. Stamane la Polizia ha caricato i manifestanti
ed arrestato centinaia di persone. Sulla critica situazione in queste ultime ore ci
riferisce Roberta Gisotti:
Gas lacrimogeni, cariche con manganelli
e spari, poi centinaia di arresti: sull’asfalto almeno tre morti e 17 feriti tra i
monaci buddisti, tra cui un ottantenne. La Polizia - a servizio del regime militare
al potere da 45 anni in Myanmar - è passata all’azione repressiva per sedare la protesta
prolungata che non accenna a diminuire di intensità e per disperdere decine di migliaia
di manifestanti pacifici, che anche oggi si sono radunati in cortei per le strade
dell’ex capitale. A nulla è servito il monito che era stato lanciato stamane a Bruxelles
dalla Presidenza portoghese dell’Unione Europea alle autorità del Myanmar di usare
“la massima moderazione”, pena maggiori sanzioni. Note di dura riprovazione per la
svolta violenta sono pure arrivate dal mondo politico in Italia, Francia, Giappone
e Gran Bretagna, dove il premier Gordon Brown ha chiesto una riunione urgente del
Consiglio di Sicurezza. La Giunta militare avrebbe commesso “l’errore peggiore e più
irreparabile della storia” secondo il partito dissidente guidato dal Premio Nobel
per la pace Aung San Suu Kyi, da anni agli arresti domiciliari, e che ora chiede “l’apertura
di un dialogo per risolvere pacificamente tutti i problemi della Nazione”. Nonostante
gli scontri i manifestanti continuano a formare una catena umana per le strade di
Yangon, dove i monaci nei tradizionali abiti rossi sfilano al centro e i cittadini
comuni ai lati, in una alleanza di cuori e di menti. E la protesta si allarga se oggi
15 mila persone, tra cui anche monaci buddisti e numerosi musulmani hanno sfilato
anche a Sittwe nell’ovet del Myanmar, sfidando il divieto di raduni imposto dalle
autorità di governo. Decine di studenti buddisti hanno inoltre manifestato stamane
in segno di solidarietà sotto l’ambasciata del Myanmar, a Giakarta in Indonesia. Attraverso
una nota ufficiale la Conferenza episcopale del Myanmar, spiega l’impegno della Chiesa
cattolica nel Paese. Ascoltiamo mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon
e segretario generale della Conferenza episcopale del Myanmar, al microfono di Christopher
Altieri:
“The
Church in Myanmar ... La Chiesa nel Myanmar sta pregando per la pace e per
lo sviluppo del Paese. E’ un impegno che tutte le parrocchie hanno assunto dal 1°
febbraio dello scorso anno. Specialmente in questo difficile momento tutti i cattolici
sono impegnati nella preghiera e nell’offerta di Messe speciali. In linea con il Codice
di Diritto Canonico e la Dottrina Sociale della Chiesa, i sacerdoti e i religiosi
non sono coinvolti nelle attuali proteste e non fanno parte di alcun partito politico.
I cattolici, come cittadini, sono liberi di agire secondo coscienza. I sacerdoti e
i religiosi possono offrire linee guida appropriate”.
Cresce dunque l’apprensione
in tutto il mondo democratico per quanto sta avvenendo in Myanmar in queste ore. A
considerare come una svolta molto importante le proteste dell’opposizione birmana
è anche padre Piero Gheddo, missionario del PIME ed esperto dell’area. Sentiamo
una sua valutazione della crisi nell’intervista di Stefano Leszczynski:
R. –
La valuto in modo molto positivo se sboccherà in una vera libertà del popolo dalla
dittatura; è negativo se invece la dittatura ricomincerà a reprimere, ammazzando molta
gente: allora sarà pericoloso perché può riscoppiare una guerra civile che farebbe
moltissimi morti ... Quindi, per il momento mi pare molto positivo questo entrare
in campo dei monaci! Poi, la gente li ha seguiti ... il governo è costretto a fare
qualcosa. Vediamo ...
D. – Cosa potrebbe fermare
il governo dal reprimere duramente questa manifestazione?
R.
– Ma, io penso che in questa situazione così difficile per quel popolo di 50 milioni
di abitanti – non è un popolo di poco conto! – i governi occidentali dovrebbero fare
molta più pressione! Io dico, anche il governo italiano, i governi dell’Unione Europea,
come già fanno gli Stati Uniti. La Birmania ha un esercito di 500 mila militari, dicono
che sia il secondo dell’Asia. Sarà una situazione molto, ma molto positiva se sbocca
nella libertà. Negativa se provoca una repressione autentica.
D.
– Padre Gheddo, chi sono le persone che manifestano in Myanmar?
R.
– Io penso oggi tutto il popolo, quasi tutto il popolo; ricordiamo che nelle elezioni
del 1989-'90, quando ha vinto Aung San Suu Kyi, ha preso l’82 per cento dei voti,
e il partito del governo – il partito del socialismo birmano – ha preso il 10 per
cento; che poi sono i funzionari, le famiglie, le persone che sono legate a quel partito
lì e al governo. Quindi, io penso che tutto il popolo, praticamente tutto il popolo,
si sta ribellando perché la Birmania – ricordiamolo – nell’ultimo dopoguerra, nel
’46 – ’48, quando è arrivata l’indipendenza, era il Paese più evoluto e più ricco
di risorse naturali del Sudest asiatico. Oggi è l’ultimo Paese in tutti i sensi.
D.
– Come mai questa protesta è partita proprio dai monaci? Che ruolo hanno nella società?
R.
– Perché se lei toglie l’esercito e il partito dominante, una forza popolare non esiste
più! Hanno abolito partiti, sindacati, stampa libera, associazioni, anche associazioni
che non avevano nulla di politico ... Chi governa, in Birmania, chi domina tutta la
situazione è solo, solo, solo il governo e chi sta con il governo!