2007-09-26 15:38:59

Myanmar: pugno di ferro dei militari contro la protesta pacifica guidata dai monaci buddisti


Almeno tre morti e numerosi feriti: svolta violenta, oggi in Myanmar, alle manifestazioni di piazza capeggiate dai monaci buddisti, che da nove giorni protestano contro il regime militare per le strade dell’ex capitale Yangon, sostenuti dalla folla, marciando al grido di ‘democrazia, democrazia’. Stamane la Polizia ha caricato i manifestanti ed arrestato centinaia di persone. Sulla critica situazione in queste ultime ore ci riferisce Roberta Gisotti:

Gas lacrimogeni, cariche con manganelli e spari, poi centinaia di arresti: sull’asfalto almeno tre morti e 17 feriti tra i monaci buddisti, tra cui un ottantenne. La Polizia - a servizio del regime militare al potere da 45 anni in Myanmar - è passata all’azione repressiva per sedare la protesta prolungata che non accenna a diminuire di intensità e per disperdere decine di migliaia di manifestanti pacifici, che anche oggi si sono radunati in cortei per le strade dell’ex capitale. A nulla è servito il monito che era stato lanciato stamane a Bruxelles dalla Presidenza portoghese dell’Unione Europea alle autorità del Myanmar di usare “la massima moderazione”, pena maggiori sanzioni. Note di dura riprovazione per la svolta violenta sono pure arrivate dal mondo politico in Italia, Francia, Giappone e Gran Bretagna, dove il premier Gordon Brown ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza. La Giunta militare avrebbe commesso “l’errore peggiore e più irreparabile della storia” secondo il partito dissidente guidato dal Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, da anni agli arresti domiciliari, e che ora chiede “l’apertura di un dialogo per risolvere pacificamente tutti i problemi della Nazione”. Nonostante gli scontri i manifestanti continuano a formare una catena umana per le strade di Yangon, dove i monaci nei tradizionali abiti rossi sfilano al centro e i cittadini comuni ai lati, in una alleanza di cuori e di menti. E la protesta si allarga se oggi 15 mila persone, tra cui anche monaci buddisti e numerosi musulmani hanno sfilato anche a Sittwe nell’ovet del Myanmar, sfidando il divieto di raduni imposto dalle autorità di governo. Decine di studenti buddisti hanno inoltre manifestato stamane in segno di solidarietà sotto l’ambasciata del Myanmar, a Giakarta in Indonesia.
 
Attraverso una nota ufficiale la Conferenza episcopale del Myanmar, spiega l’impegno della Chiesa cattolica nel Paese. Ascoltiamo mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e segretario generale della Conferenza episcopale del Myanmar, al microfono di Christopher Altieri:RealAudioMP3


“The Church in Myanmar ...
La Chiesa nel Myanmar sta pregando per la pace e per lo sviluppo del Paese. E’ un impegno che tutte le parrocchie hanno assunto dal 1° febbraio dello scorso anno. Specialmente in questo difficile momento tutti i cattolici sono impegnati nella preghiera e nell’offerta di Messe speciali. In linea con il Codice di Diritto Canonico e la Dottrina Sociale della Chiesa, i sacerdoti e i religiosi non sono coinvolti nelle attuali proteste e non fanno parte di alcun partito politico. I cattolici, come cittadini, sono liberi di agire secondo coscienza. I sacerdoti e i religiosi possono offrire linee guida appropriate”.

Cresce dunque l’apprensione in tutto il mondo democratico per quanto sta avvenendo in Myanmar in queste ore. A considerare come una svolta molto importante le proteste dell’opposizione birmana è anche padre Piero Gheddo, missionario del PIME ed esperto dell’area. Sentiamo una sua valutazione della crisi nell’intervista di Stefano Leszczynski:RealAudioMP3


R. – La valuto in modo molto positivo se sboccherà in una vera libertà del popolo dalla dittatura; è negativo se invece la dittatura ricomincerà a reprimere, ammazzando molta gente: allora sarà pericoloso perché può riscoppiare una guerra civile che farebbe moltissimi morti ... Quindi, per il momento mi pare molto positivo questo entrare in campo dei monaci! Poi, la gente li ha seguiti ... il governo è costretto a fare qualcosa. Vediamo ...

 
D. – Cosa potrebbe fermare il governo dal reprimere duramente questa manifestazione?

 
R. – Ma, io penso che in questa situazione così difficile per quel popolo di 50 milioni di abitanti – non è un popolo di poco conto! – i governi occidentali dovrebbero fare molta più pressione! Io dico, anche il governo italiano, i governi dell’Unione Europea, come già fanno gli Stati Uniti. La Birmania ha un esercito di 500 mila militari, dicono che sia il secondo dell’Asia. Sarà una situazione molto, ma molto positiva se sbocca nella libertà. Negativa se provoca una repressione autentica.

 
D. – Padre Gheddo, chi sono le persone che manifestano in Myanmar?

 
R. – Io penso oggi tutto il popolo, quasi tutto il popolo; ricordiamo che nelle elezioni del 1989-'90, quando ha vinto Aung San Suu Kyi, ha preso l’82 per cento dei voti, e il partito del governo – il partito del socialismo birmano – ha preso il 10 per cento; che poi sono i funzionari, le famiglie, le persone che sono legate a quel partito lì e al governo. Quindi, io penso che tutto il popolo, praticamente tutto il popolo, si sta ribellando perché la Birmania – ricordiamolo – nell’ultimo dopoguerra, nel ’46 – ’48, quando è arrivata l’indipendenza, era il Paese più evoluto e più ricco di risorse naturali del Sudest asiatico. Oggi è l’ultimo Paese in tutti i sensi.

 
D. – Come mai questa protesta è partita proprio dai monaci? Che ruolo hanno nella società?

 
R. – Perché se lei toglie l’esercito e il partito dominante, una forza popolare non esiste più! Hanno abolito partiti, sindacati, stampa libera, associazioni, anche associazioni che non avevano nulla di politico ... Chi governa, in Birmania, chi domina tutta la situazione è solo, solo, solo il governo e chi sta con il governo!







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