Mons. Parolin alla conferenza ONU sui cambiamenti del clima: solo con una reale intesa
fra Stati è possibile un'efficace azione a tutela dell'ambiente
“Il futuro nelle nostre mani: affrontare la sfida posta ai leader dai cambiamenti
climatici” questo il titolo della conferenza che si è aperta ieri a New York, al Palazzo
di Vetro delle Nazioni Unite. Una riunione, a cui prendono parte oltre 150 Paesi,
e che ha lo scopo di gettare le basi per un nuovo accordo salva-clima in vista della
scadenza del protocollo di Kyoto, fissata nel 2012. Alla consultazione sta partecipando
anche una delegazione vaticana guidata da mons. Piero Parolin, sottosegretario
della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, intervenuto ieri all'assise dell'ONU.
Ma con quale messaggio? Benedetta Capelli lo ha intervistato:
R. -
Vorrei ricordare che ci sono stati dei rapporti da parte della Commissione intergovernativa
sui cambiamenti climatici, che hanno suscitato anche reazioni contrastanti e controversie,
che però sono servite ad attirare l’attenzione mondiale sul problema dei cambiamenti
climatici e sul problema del degrado dell’ambiente. Le Nazioni Unite si sono attivate
per dare una risposta operativa ed è precisamente questo il senso dell’incontro che
si sta svolgendo qui a New York: non discutere teoricamente, quanto piuttosto trovare
delle indicazioni concrete per superare questo problema che tutti sentono come molto
grave e molto urgente.
D. - Qual è il messaggio della
Santa Sede?
R. - Sulla scia di quanto il Santo Padre
ha detto recentemente su questo tema, direi che il nostro messaggio si può riassumere
in alcuni punti: il primo, è che la questione dei cambiamenti climatici e la questione
del degrado ambientale si collocano nell’ordine degli imperativi morali. La Santa
Sede non può proporre soluzioni concrete, contingenti, ma vuole ribadire questa dimensione
fondamentale che può suscitare risposte adeguate al problema stesso. Poi, c’è un secondo
punto: alla protezione dell’ambiente si può applicare quella responsabilità di proteggere,
che nella terminologia delle Nazioni Unite è usata e adoperata - come ben si sa -
in un contesto diverso. Gli Stati devono ancora trovare una strategia comune, a partire
dalla convinzione che nessuno può risolvere da solo questi problemi e a partire dalla
necessità di mettere da parte gli interessi particolari per intraprendere un’azione
comune. L’ultimo punto sul quale vorrei insistere è che bisogna, in questo campo come
in altri, passare veramente dalle parole ai fatti concreti.
D.
- L’appuntamento di New York è preludio a quello di Bali, in programma a dicembre,
dove si dovrebbe siglare un nuovo accordo internazionale salva-clima. Quali le speranze
per questa prossima tappa?
R. - Mi pare che le speranze
emergano proprio da questo incontro di alto livello. Evidentemente, il problema è
molto complesso, però almeno da quello che io colgo c’è volontà di dare riposte operative,
di dare risposte concrete, perchè si è convinti che ne va del presente e del futuro
e dell’umanità.
D. - Come spiegare la reticenza di
alcuni Paesi su alcune tematiche ambientali?
R. -
Ci sono molti interessi in gioco. Io credo - senza per questo essere troppo ottimisti,
ma realisti - che questi eventi servano a confrontarsi. Dobbiamo mettere insieme le
nostre idee, le nostre convinzioni, i nostri problemi, e insieme cercare una strada
comune. Questo è il cammino migliore per arrivarci e superare anche queste reticenze.