2007-09-25 14:17:01

In Myanmar, 100 mila manifestanti per le strade. La polizia interviene per disperdere la folla


In Myanmar, ottavo giorno consecutivo di proteste contro il regime militare. La dimostrazione è pacifica come nei giorni scorsi: decine di migliaia di persone, guidate da monaci buddisti, hanno marciato per le strade di Yangoon al grido “Democrazia, democrazia”. La polizia è intervenuta per disperdere la folla. Il premier britannico, Gordon Brown, ha chiesto intanto che l'Unione Europea prenda una posizione decisa nei confronti della giunta militare. Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

Almeno 100 mila persone, guidate da migliaia di monaci buddisti, hanno sfilato lungo le strade della capitale del Myanmar, protestando contro il regime. Nell'area, teatro delle manisfestazioni, sono stati dispiegati poliziotti in assetto antisommossa. Un’organizzazione umanitaria, Burma compaign UK, ha espresso poi il timore che la giunta abbia organizzato un piano per infiltrare provocatori tra i manifestanti e far scoppiare disordini e violenze. Secondo questa organizzazione, le autorità del Myanmar avrebbero già ordinato 3 mila tonache da monaco e imposto ad alcuni soldati di radersi a zero. Le manisfestazioni di protesta hanno comunque conservato il loro carattere pacifico: su molti stendardi è ricomparsa l’immagine del pavone, utilizzata dagli studenti durante la protesta del 1988 repressa nel sangue. In quell’occasione, la giunta utilizzò agenti provocatori per innescare violenze e giustificare così l’intervento repressivo dell’esercito. Il pavone è anche il simbolo della Lega Nazionale per la Democrazia, movimento del premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, da anni agli arresti domiciliari. Sul versante internazionale, intanto, la Cina ha lanciato un appello alle autorità e al popolo birmano a gestire “correttamente” la crisi. La Chiesa del Myanmar, infine, ha lanciato una campagna nazionale di preghiera e invitato tutte le diocesi del Paese ad aiutare la popolazione. In Myanmar, dove l'80 per cento della popolazione è buddista, i cattolici sono circa 600 mila.

 
Ma come è oggi la società del Myanmar, un Paese sottoposto a tanti anni di regimi dittatoriali? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fernando Mezzetti, editorialista di politica internazionale:RealAudioMP3


R. - La società birmana è una società molto tollerante: è da 40 anni che subisce un regime autoritario. Nel 1988, ci fu una esplosione di rivolta che fu soffoca nel sangue e, quindi, i militari stabilirono una sorta di Giunta, che si è legata alla Cina. Il Paese si è allora trasformato: si tratta di uno Stato molto spiritualizzato e di qui l’importanza della manifestazioni fatte dai monaci. C’è un capitalismo rapace, di cui godono soltanto pochi strati sociali. Questo era il Paese che nell’immediato dopoguerra, nei primi anni Cinquanta, era tra i maggiori esportatori di riso, mentre oggi è un Paese alla fame.

 
D. - La particolarità di queste manifestazioni è che sono guidate dai monaci buddisti e non è stata, quindi, la società civile che si è mossa in prima persona…

 
R. - L’ultima volta che la società civile ha avuto l’opportunità di esprimersi è stato nel 1990, quando ci furono le elezioni vinte dal Partito democratico, ma furono sostanzialmente annullate. C’è un regime di terrore, in cui i monaci rappresentavano l’elemento di spiritualità distante dalla politica. Se si sono mossi i monaci vuol dire che la situazione è diventata insopportabile ed assumono essi stessi la responsabilità civile. I monaci in Birmania godono di molta autorevolezza morale. Non hanno mai criticato il regime, ma adesso si sono decisi perché evidentemente la situazione è diventata intollerabile. Il rischio è che la giunta militare passi all’azione ed allora avremmo veramente una "Tien An Men" birmana.

 
D. - Esclude che si apra un dialogo tra la giunta e le opposizioni a questo punto?

 
R. - Può darsi che i monaci accettino un dialogo con la giunta e può darsi che la giunta finga di accettare il dialogo. La Cina sta premendo, perché ha sperimentato su di sé l’isolamento internazionale e l'ex Birmania è molto importante per la Cina: vi ha fatto grandi investimenti e ne sfrutta le materie prime, di cui il Myanmar è dotato. La Cina preme, quindi, per un dialogo. Il problema è quanto sarà sincero questo dialogo. Il rischio è che possano fare delle “apparenti” concessioni in questa fase di crisi, ma senza mollare la presa dell’autoritarismo.

 
D. - Quale dovrebbe essere il ruolo della comunità internazionale in questo momento? Forse provare a scardinare il muro dietro il quale si è chiuso lo Stato birmano?

 
R. - La Birmania è già sostanzialmente molto isolata dalla comunità internazionale. Ha rapporti soltanto con i Paesi dell'ASEAN (Associazione delle nazioni dell'Asia sudorientale - ndr) ed anche loro la tengono un po’ a distanza. E’ chiaro, però, che se l’ASEAN si muovesse, potrebbe ridurre alla ragione i militari e, in qualche modo, forzarli a fare delle concessioni.







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