Il Papa a Velletri: la vita è una scelta tra egoismo e altruismo, tra logica del profitto
e logica della solidarietà. La ricchezza fruttifica solo se condivisa con i poveri
Benedetto XVI è giunto questa mattina a Velletri per una breve visita pastorale alla
diocesi suburbicaria. Il Papa ha presieduto la celebrazione eucaristica in Piazza
San Clemente, sul sagrato della cattedrale di Velletri. Ecco il testo integrale dell'omelia:
Cari
fratelli e sorelle!
Sono tornato volentieri in mezzo a voi per presiedere
questa solenne celebrazione eucaristica, rispondendo ad un vostro reiterato invito.
Sono tornato con gioia per incontrare la vostra comunità diocesana, che per diversi
anni è stata in modo singolare anche la mia e che mi resta tuttora tanto cara. Vi
saluto tutti con affetto. Saluto, in primo luogo, il Signor Cardinale Francis Arinze,
che mi è succeduto come Cardinale titolare di questa Diocesi; saluto il vostro Pastore,
il caro Mons. Vincenzo Apicella, che ringrazio per le cortesi parole di benvenuto
con cui ha voluto accogliermi a nome vostro. Saluto gli altri Vescovi, i sacerdoti,
i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali, i giovani e quanti sono attivamente
impegnati nelle parrocchie, nei movimenti, nelle associazioni e nelle varie attività
diocesane. Saluto il Commissario Prefettizio di Velletri, i Sindaci dei Comuni della
Diocesi di Velletri-Segni e le altre Autorità civili e militari, che ci onorano della
loro presenza. Saluto quanti sono venuti da altre parti, in particolare dalla Germania,
per unirsi a noi in questo giorno di festa. Vincoli di amicizia legano la mia terra
natale alla vostra: ne è testimone la colonna di bronzo donatami a Marktl am Inn nel
settembre dello scorso anno, in occasione del viaggio apostolico in Germania e che
ben volentieri ho voluto restasse qui, come ulteriore segno del mio affetto e della
mia benevolenza.
So che vi siete preparati all’odierna mia visita attraverso
un intenso cammino spirituale, adottando come motto un versetto assai significativo
della Prima Lettera di Giovanni: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che
Dio ha per noi” (4,16). Deus caritas est, Dio è amore: con queste parole inizia la
mia prima Enciclica, che concerne il centro della nostra fede: l’immagine cristiana
di Dio e la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Mi rallegro che voi
abbiate scelto come guida dell’itinerario spirituale e pastorale della Diocesi proprio
questa espressione: “Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo
creduto”. L’odierna nostra assemblea liturgica non può pertanto non focalizzarsi su
questa verità essenziale, sull’amore di Dio, capace di imprimere all’esistenza umana
un orientamento e un valore assolutamente nuovi. L’amore è l’essenza del Cristianesimo,
che rende il credente e la comunità cristiana fermento di speranza e di pace in ogni
ambiente, attenti specialmente alle necessità dei poveri e dei bisognosi. L’amore
fa vivere la Chiesa.
Nelle passate domeniche, san Luca, l’evangelista che
più degli altri si preoccupa di mostrare l’amore che Gesù ha per i poveri, ci ha offerto
diversi spunti di riflessione circa i pericoli di un attaccamento eccessivo al denaro,
ai beni materiali e a tutto ciò che ci impedisce di vivere in pienezza la nostra vocazione
ad amare Dio e i fratelli. Anche quest’oggi, attraverso una parabola che provoca in
noi una certa meraviglia perché si parla di un amministratore disonesto che viene
lodato (cfr Lc 16,1-13), a ben vedere il Signore ci riserva un serio e quanto mai
salutare insegnamento. Come sempre Egli trae spunto da fatti di cronaca quotidiana:
narra di un amministratore che sta sul punto di essere licenziato per disonesta gestione
degli affari del suo padrone e, per assicurarsi il futuro, cerca con furbizia di accordarsi
con i debitori. E’ certamente un disonesto, ma astuto: il Vangelo non ce lo presenta
come modello da seguire nella sua disonestà, ma come esempio da imitare per la sua
previdente scaltrezza. La breve parabola si conclude infatti con queste parole: “Il
padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza” (Lc
16,8).
Che cosa vuole dirci Gesù? Alla parabola del fattore infedele,
l’evangelista fa seguire una breve serie di detti e di ammonimenti circa il rapporto
che dobbiamo avere con il denaro e i beni di questa terra. Sono piccole frasi che
invitano ad una scelta che presuppone una decisione radicale, una costante tensione
interiore. La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà
e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Incisiva e perentoria la conclusione
del brano evangelico: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà
l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro”. In definitiva, dice
Gesù, occorre decidersi: “Non potete servire a Dio e mammona” (Lc 16,13). Mammona
è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e successo negli affari;
potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto
pur di raggiungere il proprio successo personale. È necessaria quindi una decisione
fondamentale - la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro
agire e la logica della condivisione e della solidarietà. La logica del profitto,
se prevalente, incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso
sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della
solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo,
per il bene comune di tutti. In fondo si tratta della decisione tra l’egoismo e l’amore,
tra la giustizia e la disonestà, in definitiva tra Dio e Satana. Se amare Cristo e
i fratelli non va considerato come qualcosa di accessorio e di superficiale, ma piuttosto
lo scopo vero ed ultimo di tutta la nostra esistenza, occorre saper operare scelte
di fondo, essere disposti a radicali rinunce, se necessario sino al martirio. Oggi,
come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare contro corrente, di amare
come Gesù, che è giunto sino al sacrificio di sé sulla croce.
Potremmo
allora dire, parafrasando una considerazione di sant’Agostino, che per mezzo delle
ricchezze terrene dobbiamo procurarci quelle vere ed eterne: se infatti si trova gente
pronta ad ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale pur sempre
aleatorio, quanto più noi cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra
eterna felicità con i beni di questa terra (cfr Discorsi 359,10). Ora, l’unica maniera
di far fruttificare per l’eternità le nostre doti e capacità personali come pure le
ricchezze che possediamo è di condividerle con i fratelli, mostrandoci in tal modo
buoni amministratori di quanto Iddio ci affida. Dice Gesù: “Chi è fedele nel poco,
è fedele nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto” (Lc 16,10-11).
Della stessa scelta fondamentale da compiere giorno per giorno parla oggi
nella prima lettura il profeta Amos. Con parole forti, egli stigmatizza uno stile
di vita tipico di chi si lascia assorbire da un’egoistica ricerca del profitto in
tutti i modi possibili e che si traduce in una sete di guadagno, in un disprezzo dei
poveri e in uno sfruttamento della loro situazione a proprio vantaggio (cfr Am 4,5).
Il cristiano deve respingere con energia tutto questo, aprendo il cuore, al contrario,
a sentimenti di autentica generosità. Una generosità che, come esorta l’apostolo Paolo
nella seconda Lettura, si esprime in un amore sincero per tutti e si manifesta in
primo luogo nella preghiera. Grande gesto di carità è pregare per gli altri. L’Apostolo
invita in primo luogo a pregare per quelli che rivestono compiti di responsabilità
nella comunità civile, perché - egli spiega - dalle loro decisioni, se tese a realizzare
il bene comune, derivano conseguenze positive, assicurando la pace e “una vita calma
e tranquilla con tutta pietà e dignità” per tutti (1 Tm 2,2). Non venga pertanto mai
meno la nostra preghiera, apporto spirituale all’edificazione di una Comunità ecclesiale
fedele a Cristo e alla costruzione d’una società più giusta e solidale.
Cari
fratelli e sorelle, preghiamo, in particolare, perché la vostra comunità diocesana,
che sta subendo una serie di trasformazioni, dovute al trasferimento di molte famiglie
giovani provenienti da Roma, allo sviluppo del “terziario” e all’insediamento nei
centri storici di molti immigrati, conduca un’azione pastorale sempre più organica
e condivisa, seguendo le indicazioni che il vostro Vescovo va offrendo con spiccata
sensibilità pastorale. A questo riguardo, quanto mai opportuna si è rivelata la sua
Lettera Pastorale del dicembre scorso con l’invito a mettersi in ascolto attento e
perseverante della Parola di Dio, degli insegnamenti del Concilio Vaticano II e del
Magistero della Chiesa. Deponiamo nelle mani della Madonna delle Grazie, la cui immagine
è custodita e venerata in questa vostra bella Cattedrale, ogni vostro proposito e
progetto pastorale. La materna protezione di Maria accompagni il cammino di voi qui
presenti e di quanti non hanno potuto partecipare all’odierna nostra Celebrazione
eucaristica. In special modo, vegli la Vergine Santa sugli ammalati, sugli anziani,
sui bambini, su chiunque si sente solo e abbandonato o versa in particolari necessità.
Ci liberi Maria dalla cupidigia delle ricchezze, e faccia sì che alzando al cielo
mani libere e pure, rendiamo gloria a Dio con tutta la nostra vita (cfr Colletta).
Amen!