2007-09-22 14:18:15

Myanmar: si estende in tutto il Paese la rivolta pacifica dei monaci buddisti contro la giunta militare


Si sta estendendo a tutto il Myanmar la protesta dei monaci buddisti contro il governo militare di Yangoon. Anche stamani, nel sesto giorno consecutivo delle manifestazioni, migliaia di religiosi e di civili sono scesi in piazza. Le dimostrazioni, originate dall’aumento ingiustificato dei prezzi dei beni di prima necessità, non riguardano più solo la capitale, ma anche Mandalay, seconda città dell’ex Birmania, dove si sono contati almeno 10 mila manifestanti, e altre zone del Paese. La comunità internazionale teme che la situazione possa sfociare nella dura reazione del regime birmano, che non organizza elezioni dal 1990. In quell’anno, la Lega Nazionale Democratica, guidata da Aung San Suu Kyi, paladina per i diritti civili e premio Nobel per la Pace, agli arresti domiciliari da 12 anni, conseguì una netta vittoria, mai riconosciuta ufficialmente. Oggi la leader è uscita in strada a salutare i monaci. Ma quali sono le richieste alla base di queste pacifiche manifestazioni? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia AsiaNews:RealAudioMP3


R. – Anzitutto la richiesta di scuse per come sono stati trattati i monaci nei giorni scorsi nel corso di alcune manifestazioni nel monastero di Pakokku. I monaci avevano, infatti, sostenuto la popolazione nella richiesta di abbassare i prezzi dei carburanti e dei trasporti; per questo sono stati picchiati e contro di loro sono stati usati gas lacrimogeni. La protesta, però, ora si sta allargando nelle sue motivazioni ed è stato sottolineato che continueranno queste manifestazioni fin quando non cadrà il regime militare, definito “nemico del popolo”. Del resto, i monaci sono un po’ l’asse spirituale del Myanmar e possono raccogliere attorno a loro la simpatia della popolazione, che è ormai stanca della dittatura.

 
D. – I monaci buddisti possono riuscire laddove non è riuscita l’oppositrice per eccellenza Aung San Suu Kyi?

 
R. – Diciamo che questa per adesso è soprattutto una condanna esplicita e globale del regime, che mostra come esso non sia gradito, come abbia impoverito il Paese e come abbia arricchito soltanto la classe militare. Comunque, tutta la popolazione è controllata e non so se queste iniziative possano portare ad una rivoluzione. In ogni caso, se si uniscono sempre di più le forze democratiche, che ora sono represse, e le forze spirituali della Nazione, di certo qualcosa potrebbe succedere. Anche l’ONU è molto preoccupata per le tensioni di questi giorni.

 
D. – Nella realtà globale in cui viviamo, chi è favorevole ad un regime militare come quello birmano?

 
R. – Da una parte, il governo è molto sostenuto dalla Cina, che usa il Myanmar come riserva di minerali, di pietre preziose, di legno ed anche come base militare nell’Oceano Indiano. Dall’altra parte, anche i Paesi attorno stanno depredando il Paese che prima dell’attuale regime era ricchissimo ed esportava addirittura in tutto il mondo, mentre adesso è l’ultima ruota del carro dell’economia asiatica.

 
D. – Come mai il movimento buddista, essenzialmente pacifista, ha scelto questo scontro frontale con il governo di Yangoon?

 
R. – Pur essendo pacifista, il buddismo è molto legato alla popolazione ed anche, in qualche modo, raccoglie pressioni di tipo democratico. Di fatto, poi, la religione è uno dei modi attraverso cui si può cercare di esprimersi liberamente all’interno di questo Paese che, altrimenti, non avrebbe nessuna altra possibilità di esprimere libertà di parola o di associazione.

 
D. – Questa situazione potrebbe sfociare in una reazione molto dura da parte del Governo?

 
R. – Per adesso il governo ha dichiarato che non vuole assolutamente creare delle violenze. Bisogna, però, vedere fino a che punto arriva la tensione: se c’è una saldatura tra il movimento democratico e il movimento dei monaci, che sono molto influenti sull’opinione pubblica, è possibile che ci siano non soltanto manifestazioni pacifiche, ma anche scontri di piazza sempre più duri. Naturalmente speriamo che la comunità internazionale non rimanga soltanto a guardare.







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