Giornata mondiale dell'Alzheimer: 27 milioni i malati
Oggi è la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che pone l’attenzione sulla malattia di
cui soffrono 27 milioni di pazienti nel mondo e con la quale una persona ogni tre
viene in contatto. Valentina Fizzotti ha intervistato il prof. Orazio Zanetti,
primario dell’Unità Operativa Alzheimer dell’Istituto di ricovero e cura Fatebenefratelli
di Brescia, e Fra Marco Fabello, Direttore dell’Istituto.
Il morbo
di Alzheimer è il principale responsabile della progressiva perdita delle capacità
intellettive che spesso si associa all’invecchiamento e che interessa il 5-10 per
cento della popolazione ultra-sessantacinquenne. Ma quali sono i principali effetti
della malattia? Lo abbiamo chiesto al professor Orazio Zanetti:
R.
– La malattia di Alzheimer è una malattia caratterizzata da disturbi
della memoria e dell’utilizzo del linguaggio, tali da interferire con le attività
quotidiane. Nelle fasi iniziali ed anche per parecchi anni dopo l’inizio, i pazienti
conservano una normale capacità, sostanzialmente, di deambulare. E’ sul versante della
cognitività, e quindi delle relazioni e della capacità di espletare le comuni attività
della vita di tutti i giorni, che la malattia ha un impatto importante.
D.
– Con le attuali terapie, quali sono le prospettive di vita per un paziente cui viene
diagnosticato il morbo di Alzheimer? R. – Attualmente
abbiamo a disposizione farmaci sintomatici per la malattia di Alzheimer in grado di
rallentare la progressione della malattia e, quindi, di allontanare alcune manifestazioni
di disabilità di sei mesi, un anno, un anno e mezzo. Non è molto, ma, se confrontato
con il nulla che avevamo fino a dieci-quindici anni fa, rappresenta comunque un passo
avanti. Certo, siamo in attesa di farmaci in grado davvero di incidere sulla malattia.
Oltre a rallentare la progressione della malattia sul versante cognitivo, hanno un
importante effetto sui disturbi del comportamento: i pazienti sono più socievoli e
anche meno apatici. Questo ovviamente si ripercuote in modo positivo anche sulla qualità
di vita dei familiari, che nella gran parte dei casi si prendono cura di questi malati.
Sul versante della ricerca, poi, i passi più significativi riguardano la nostra capacità
diagnostica. Oggi siamo in grado, utilizzando una serie di indagini, di fare una diagnosi
precoce e corretta e, quindi, di impostare una terapia, accanto ad un supporto ai
familiari, la più precoce possibile. A Fra Marco Fabello, invece,
abbiamo chiesto cosa significa veramente vivere con un malato di Alzheimer:
R.
– Certamente nell’ambito sociale di oggi è un grande problema, per le famiglie, soprattutto,
che non sono sufficientemente sostenute. Può rappresentare anche un momento di rottura,
ma d’altra parte può anche essere un grande momento di presa in carico di valori e
di sentimenti che magari erano andati perduti. Dal nostro punto di vista, che uniamo
ricerca ed assistenza, credo che forse dovremmo spingere molto di più perché la società
civile si prenda più cura di queste persone, perché sono davvero sole e le loro famiglie
sono molto martoriate e molto provate. Cosa si può fare di
più per questo?
R. – Dal punto di vista del pubblico,
credo che l’assistenza sia assolutamente carente ed è proprio lì che va posta l’enfasi
affinché se ne prenda più carico. Dal punto di vista delle istituzioni sanitarie,
hanno dei limiti molto precisi posti dalla stessa normativa. Io credo che, comunque,
una maggiore attenzione, almeno da parte delle istituzioni religiose che si occupano
di sanità in questo campo, potrebbe anche essere posta. Certamente il problema è grave
e non è che da soli noi, o le entità cattoliche di riferimento, possiamo risolvere
un problema che è enorme e che scoppierà ancora più forte prossimamente. Professor
Zanetti, oltre alle terapie farmacologiche e all’ospedalizzazione, quindi,
quale contributo può dare il sistema sanitario di ciascun Paese al malato e alla sua
famiglia? R. – In considerazione del fatto che la grandissima
maggioranza dei pazienti sono assistiti al proprio domicilio dai familiari, le organizzazioni
socio-sanitarie ed assistenziali dovrebbero implementare maggiormente forme di aiuto
rivolte proprio alle famiglie, affinché possano continuare a svolgere questo ruolo
di assistenza.