2007-09-21 15:18:28

Giornata mondiale dell'Alzheimer: 27 milioni i malati


Oggi è la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che pone l’attenzione sulla malattia di cui soffrono 27 milioni di pazienti nel mondo e con la quale una persona ogni tre viene in contatto. Valentina Fizzotti ha intervistato il prof. Orazio Zanetti, primario dell’Unità Operativa Alzheimer dell’Istituto di ricovero e cura Fatebenefratelli di Brescia, e Fra Marco Fabello, Direttore dell’Istituto.RealAudioMP3


Il morbo di Alzheimer è il principale responsabile della progressiva perdita delle capacità intellettive che spesso si associa all’invecchiamento e che interessa il 5-10 per cento della popolazione ultra-sessantacinquenne. Ma quali sono i principali effetti della malattia? Lo abbiamo chiesto al professor Orazio Zanetti:

 
R. – La malattia di Alzheimer è una malattia caratterizzata da disturbi della memoria e dell’utilizzo del linguaggio, tali da interferire con le attività quotidiane. Nelle fasi iniziali ed anche per parecchi anni dopo l’inizio, i pazienti conservano una normale capacità, sostanzialmente, di deambulare. E’ sul versante della cognitività, e quindi delle relazioni e della capacità di espletare le comuni attività della vita di tutti i giorni, che la malattia ha un impatto importante.

 
D. – Con le attuali terapie, quali sono le prospettive di vita per un paziente cui viene diagnosticato il morbo di Alzheimer?
 
R. – Attualmente abbiamo a disposizione farmaci sintomatici per la malattia di Alzheimer in grado di rallentare la progressione della malattia e, quindi, di allontanare alcune manifestazioni di disabilità di sei mesi, un anno, un anno e mezzo. Non è molto, ma, se confrontato con il nulla che avevamo fino a dieci-quindici anni fa, rappresenta comunque un passo avanti. Certo, siamo in attesa di farmaci in grado davvero di incidere sulla malattia. Oltre a rallentare la progressione della malattia sul versante cognitivo, hanno un importante effetto sui disturbi del comportamento: i pazienti sono più socievoli e anche meno apatici. Questo ovviamente si ripercuote in modo positivo anche sulla qualità di vita dei familiari, che nella gran parte dei casi si prendono cura di questi malati. Sul versante della ricerca, poi, i passi più significativi riguardano la nostra capacità diagnostica. Oggi siamo in grado, utilizzando una serie di indagini, di fare una diagnosi precoce e corretta e, quindi, di impostare una terapia, accanto ad un supporto ai familiari, la più precoce possibile.
 
A Fra Marco Fabello, invece, abbiamo chiesto cosa significa veramente vivere con un malato di Alzheimer:

 
R. – Certamente nell’ambito sociale di oggi è un grande problema, per le famiglie, soprattutto, che non sono sufficientemente sostenute. Può rappresentare anche un momento di rottura, ma d’altra parte può anche essere un grande momento di presa in carico di valori e di sentimenti che magari erano andati perduti. Dal nostro punto di vista, che uniamo ricerca ed assistenza, credo che forse dovremmo spingere molto di più perché la società civile si prenda più cura di queste persone, perché sono davvero sole e le loro famiglie sono molto martoriate e molto provate.
 
Cosa si può fare di più per questo?

 
R. – Dal punto di vista del pubblico, credo che l’assistenza sia assolutamente carente ed è proprio lì che va posta l’enfasi affinché se ne prenda più carico. Dal punto di vista delle istituzioni sanitarie, hanno dei limiti molto precisi posti dalla stessa normativa. Io credo che, comunque, una maggiore attenzione, almeno da parte delle istituzioni religiose che si occupano di sanità in questo campo, potrebbe anche essere posta. Certamente il problema è grave e non è che da soli noi, o le entità cattoliche di riferimento, possiamo risolvere un problema che è enorme e che scoppierà ancora più forte prossimamente.
 
Professor Zanetti, oltre alle terapie farmacologiche e all’ospedalizzazione, quindi, quale contributo può dare il sistema sanitario di ciascun Paese al malato e alla sua famiglia?
 
R. – In considerazione del fatto che la grandissima maggioranza dei pazienti sono assistiti al proprio domicilio dai familiari, le organizzazioni socio-sanitarie ed assistenziali dovrebbero implementare maggiormente forme di aiuto rivolte proprio alle famiglie, affinché possano continuare a svolgere questo ruolo di assistenza.







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