Fede cristiana e impegno per il bene comune contro sincretismo religioso e corruzione:
la Chiesa del Benin è in visita "ad Limina". Intervista con mons. Ganyé
Una nazione di sette milioni di abitanti, dove i cristiani sono il 23% e i musulmani
il 10, e dove le religioni tradizionali restano a tutt'oggi largamente praticate dal
65% dei residenti. E' la realtà del Benin, Stato africano incuneato fra la Nigeria
e il Togo. Da ieri, e fino al 22 settembre, i vescovi del Paese sono in visita ad
Limina da Benedetto XVI, che ieri ne ha ricevuto un primo gruppo, guidato dal
presidente della Conferenza episcopale locale, mons. Antoine Ganyé, vescovo
di Dassa-Zoumé. Jean-Baptiste Sourou, della redazione africana francofona della
nostra emittente, lo ha incontrato e gli ha chiesto di illustrare le problematiche
maggiori in campo pastorale:
R. -
Il y a beaucoup de difficultées ... Ci molte difficoltà. E’ difficile, per
esempio, che i laici accettino di buon grado il Sacramento del matrimonio. La poligamia,
purtroppo, è un retaggio di antiche tradizioni che ancora sopravvive. L’altro problema
è il sincretismo. Siamo cristiani, ma c’è sempre la tendenza ad essere ricuperati
dall’ambiente da cui proveniamo. Per quanto riguarda la formazione dei sacerdoti,
nel Seminario maggiore di Ouidah alcuni studenti hanno lamentato la qualità della
formazione ed anche la scarsità di manuali per lo studio. Il Seminario di Ouidah non
ha perso l'immagine del passato. Ci sono state delle lamentele che noi vescovi abbiamo
accolto. Mancavano i docenti. Ogni vescovo ha deciso di mandare i suoi preti ad occuparsi
dei giovani in formazione. Abbiamo anche inviato alcuni all'estero che saranno destinati
alla formazione dei giovani. I candidati devono essere i primi responsabili della
loro formazione. Comunque, siamo pronti a seguire i candidati al sacerdozio con un
discernimento anche serio perché non tutti saranno sacerdoti. Insistiamo sulla qualità
piuttosto che sul numero. Per i libri, è una questione importante. Non possiamo chiedere
agli studenti di raggiungere un certo livello se mancano poi gli strumenti. Certo
i mezzi mancano. Ma faremo del nostro meglio.
D.
- I giovani in Bénin incontrano non poche difficoltà: precarietà ed un futuro incerto.
Che fa la Chiesa per aiutarli?
R. - L'Eglise n'a
pas beaucoup de moyens pour accompagner les jeunes ... Aiutare vuol dire
avere i mezzi. Facciamo quello che possiamo con quello che abbiamo, creando, tra l’altro,
scuole professionali. Bisogna dire che lo Stato beninese fa anche del suo meglio per
la gioventù e l’infanzia. La scuola materna e elementare è gratuita. Questi sforzi
vanno lodati e incoraggiati. La Chiesa, da parte sua, segue anche i giovani delle
campagne.
D. - Anche le famiglie devono affrontare
non pochi problemi …
R. - Ils viennent rendre visite
à leurs pasteurs ... Vanno a visitare i loro pastori. In tutte le parrocchie
non manca gente che bussa alla porta del prete, delle suore e del vescovo per chiedere
aiuto. Chiedo sempre ai miei preti di ascoltare la povera gente affinché non manchi
loro almeno la consolazione della Chiesa. E ascoltando, si può arrivare a qualche
soluzione.
D. - Il popolo del Bénin aspira molto
ad un rinnovamento nella politica. Come aiutate la popolazione di fronte al problema
della corruzione così diffusa?
R. - C'est une chose
malheureuse, la corruption, ... E’ davvero triste che nel nostro Paese,
la corruzione sia così generale. Noi vescovi abbiamo capito che era importante aiutare
i dirigenti e gli uomini politici. Perciò abbiamo dato dei cappellani. Il Vescovo
emerito di Porto-Novo, Mons. Vincent Mensanh e il Padre Julien Pénoukou li seguono.
La Chiesa ci ha insegnato e ci insegna il rispetto per il bene comune, ma non si riesce
a capire perché quello che preoccupa i nostri connazionali sia solo il bene della
propria famiglia e gruppo. Auguro davvero che tale piaga venga presto sanata. Non
solo in Bénin, ma in tutta l’Africa.