Un uomo che visse di speranza, testimoniandola con umiltà: Benedetto XVI ha ricordato
il cardinale vietnamita, Van Thuân, a cinque anni dalla scomparsa. Presto l'avvio
della Causa di beatificazione
Testimone della speranza. Un appellativo divenuto con gli anni quasi un secondo nome.
E con queste parole anche Benedetto XVI ha voluto ricordare questa mattina, a Castel
Gandolfo, il cardinale vietnamita, Xavier Nguyên Van Thuân, a cinque anni dalla morte.
“Un singolare profeta della speranza cristiana”, lo ha definito il Papa, tornando
per qualche istante ai drammi fisici e morali che costellarono l’esistenza del porporato,
rinchiuso per 13 anni in carcere per ordine delle autorità comuniste del Paese. E
presto, verrà avviata anche la Causa di beatificazione, la cui postulatrice è l’avvocato
Silvia Monica Correale, prima donna ad essere incaricata dalla Santa Sede per svolgere
tale incarico. I particolari, nel servizio di Alessandro De Carolis.
Francois-Xavier
Ngueyen Van Thuân era un uomo che “viveva di speranza”. Essa fu per lui “l’energia
spirituale” che gli permise di essere più forte della brutalità di chi tentò di piegarlo
e ne rimase invece affascinato e convertito. Che lo rese un uomo di luce anche nel
buio della cella che lo ospitò per 108 mesi: nove anni in isolamento, senza nessun’altra
compagnia che la sua fede riaffermata ogni giorno da Messe clandestine, con tre gocce
di vino e una d’acqua consacrate nel palmo di una mano, con una rozza crocetta di
legno tenuta al collo da un filo elettrico intrecciato, mai smessa nemmeno da cardinale.
“E’ questa la testimonianza di fede che ci ha lasciato questo eroico pastore”, ha
affermato con affetto Benedetto XVI, nell’udienza concessa ai membri del Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace, alla cui guida l’allora presule vietnamita era stato chiamato
da Giovanni Paolo II, nel 1998:
“Come dimenticare
gli spiccati tratti della sua semplice ed immediata cordialità? Come non porre in
luce la capacità che egli aveva di dialogare e di farsi prossimo di tutti? Lo ricordiamo
con tanta ammirazione, mentre ci tornano in mente le grandi visioni, colme di speranza,
che lo animavano e che egli sapeva proporre in modo facile e avvincente”. Il
nome del cardinale Van Thuân è stato dato all’Osservatorio internazionale, istituito
per promuovere la dottrina sociale della Chiesa a livello internazionale. E questa,
ha ricordato Benedetto XVI, fu un’attività nella quale il porporato scomparso nel
settembre 2002 si adoperò con fervore, avvertendo un particolare “anelito per l’evangelizzazione
nel suo Continente, l’Asia”, senza che ciò condizionasse la “capacità che aveva di
coordinare le attività di carità e di promozione umana” nei posti “più reconditi della
terra”:
“Il Cardinale Van Thuân era un uomo di
speranza, viveva di speranza e la diffondeva tra tutti coloro che incontrava. Fu grazie
a quest’energia spirituale che resistette a tutte le difficoltà fisiche e morali.
La speranza lo sostenne come Vescovo isolato per 13 anni dalla sua comunità diocesana;
la speranza lo aiutò a intravedere nell’assurdità degli eventi capitatigli - non fu
mai processato durante la sua lunga detenzione - un disegno provvidenziale di Dio”.
Il
Papa ha concluso l’udienza confessando di avere “accolto con intima gioia” la notizia
del prossimo avvio della Causa di beatificazione riguardante, ha detto, “questo singolare
profeta della speranza cristiana”. “Preghiamo - ha concluso - perché il suo esempio
sia per noi di valido insegnamento”.
Nel Duemila, Giovanni Paolo II
- che nel Concistoro dell’anno dopo gli consegnerà la berretta cardinalizia - aveva
invitato l’allora arcivescovo Van Thuân a predicare gli esercizi spirituali della
Quaresima davanti alla Curia Romana. Per una settimana, i fatti salienti della sua
dolorosa e straordinaria prigionia diventarono materia di commossa riflessione sul
valore della fede sorretta da una incrollabile speranza nell’aiuto di Dio. Valore
che traspare anche in questa intervista che il porporato rilasciò a Fabio Colagrande
poco tempo dopo gli attentati dell’11 settembre, in vista dell’incontro interreligioso
di Assisi, convocato da Papa Wojtyla per il gennaio 2002. Riascoltiamo le parole del
cardinale Van Thuân:
R. -
Davanti a queste tragedie nazionali ed internazionali, vediamo che ci sono tre punti
molto importanti: la giustizia, la responsabilità – soprattutto degli educatori e
dei governanti – e terzo, la conversione dei cuori. Perché senza la conversione dei
cuori, senza la preghiera non c’è umiltà per ascoltare e quando non percorriamo questa
strada, c’è soltanto potere, denaro, armi. Dividere con tutti gli altri la nostra
gioia, la gioia della speranza: la nostra speranza è già nel nostro cuore, perché
Gesù è venuto con noi. La salvezza è certa: basta andare all’incontro con Gesù!
D.
- La speranza, quindi, è il messaggio che la Chiesa dà all’uomo in questo momento
di oscurità…
R. - E’ la grande sfida dell’umanità!
Molti perdono la speranza se non vedono un punto di riferimento che è Gesù, che è
la nostra vera ed unica speranza!
D. - E lei non
ha mai perso la speranza nei giorni della prigionia?
R.
- Io ho avuto momenti veramente difficili, la tentazione della vendetta, la tentazione
della disperazione… ma nel momento più critico, nell’abisso della mia miseria, della
mia debolezza umana, in quel momento il Signore mi ha teso la mano e la speranza è
ritornata, come la luce dopo la pioggia.