Oggi entra in vigore il Motu Proprio del Papa sull'uso del Messale Romano del 1962.
Il cardinale Castrillón Hoyos: sia un motivo di gioia per tutti. I chiarimenti di
don Nicola Bux
Entra oggi in vigore il Motu Proprio di Benedetto XVI, Summorum Pontificum, sull’uso
della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970. Il documento liberalizza l’utilizzo
del Messale Romano del 1962, che, ricordiamo, non è mai stato abrogato. In particolare,
il Motu Proprio stabilisce che spetta al parroco accogliere le richieste di fedeli
aderenti alla precedente tradizione liturgica. Intanto, in un editoriale, la rivista
dei gesuiti, Civiltà Cattolica, sottolinea che sono infondati i timori di quanti ritengono
il Motu Proprio un passo indietro rispetto alla riforma liturgica del Concilio Vaticano
II. Sul vero significato di questo documento pontificio, Giovanni Peduto ha raccolto
la riflessione del cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione
Ecclesia Dei e per molti anni prefetto della Congregazione per il Clero:
R. –
Io direi che già Giovanni Paolo II voleva dare ai fedeli che amavano l’antico rito
- alcuni dei quali erano passati al movimento dell’arcivescovo Lefebvre, ma che poi
lo avevano lasciato per mantenere la piena unità con il Vicario di Cristo - l’opportunità
di celebrare il rito che era più vicinoalla loro sensibilità. Il Santo Padre
Benedetto XVI ha partecipato sin dall’inizio a tutta la questione Lefebvre ed ha quindi
conosciuto benissimo il problema che creava a quei fedeli la riforma liturgica. Il
Papa ha un amore speciale per la liturgia. Un amore che si traduce anche in capacità
di studio, di approfondimento della Liturgia stessa. Ecco perché Benedetto XVI considera
un tesoro inestimabile la Liturgia anteriore alla Riforma del Concilio. Il Papa non
vuole tornare indietro. E’ importante sapere e sottolineare che il Concilio non ha
proibito la Liturgia di San Pio V e bisogna inoltre dire che i Padri del Concilio
hanno celebrato la Messa di San Pio V. Non è come alcuni sostengono, perché non conoscono
la realtà, un tornare indietro. Al contrario: il Concilio ha voluto dare ampia libertà
ai fedeli. Una di queste libertà è proprio quella di prendere questo tesoro – come
dice il Papa – che è la Liturgia, per mantenerlo vivo.
D. – Cosa cambia,
in realtà, con questo Motu Proprio?
R. – Con questo
Motu Proprio, in realtà, il cambiamento non è tanto grande. La cosa principale è che
in questo momento i sacerdoti possono decidere, senza permesso né da parte della
Santa Sede né da parte del vescovo, se celebrare la Messa nel rito antico. E questo
vale per tutti i sacerdoti. I parroci sono essi stessi che in parrocchia devono aprire
la porta a quei sacerdoti che, avendo le facoltà, vanno a celebrare. Non è, quindi,
necessario chiedere nessun altro permesso.
D. – Eminenza, questo documento
è stato accompagnato da polemiche e timori: ma cosa non è vero di quanto è stato detto
o letto?
R. – Non è vero, per esempio, che sia stato
tolto ai vescovi il potere sulla Liturgia, perché già il Codice dice chi deve dare
il permesso per dire Messa e non è il vescovo: il vescovo dà il celebret, la potestà
di poter celebrare, ma quando un sacerdote ha questa potestà, sono il parroco e il
cappellano che devono offrire l’altare per celebrare. Se qualcuno lo impedisce, tocca
allora alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei prendere misure, a nome del Santo
Padre, affinché questo diritto – che è un diritto ormai chiaro dei fedeli - venga
rispettato.
D. – Alla vigilia dell’entrata in vigore
del Motu Proprio, quali sono i suoi auspici?
R. – I miei auspici sono
questi: l’Eucaristia è la cosa più grande che noi abbiamo, è la manifestazione più
grande dell’amore, dell’amore redentore di Dio che ci vuole accompagnare con questa
presenza eucaristica. Questo non deve essere mai un motivo di discordia: lì ci deve
essere solo l’amore. Io auspico che questo possa essere un motivo di gioia per tutti
coloro che amano la tradizione, un motivo di gioia per tutte quelle parrocchie che
non avranno più divisioni, ma avranno – al contrario – una molteplicità di santità
con un rito che è stato certamente il fattore e lo strumento di santificazione per
più di mille anni. Ringraziamo, quindi, il Santo Padre che ha recuperato per la Chiesa
questo tesoro. Non viene imposto niente agli altri. Il Papa non impone l’obbligo;
il Papa impone però di offrire questa possibilità laddove i fedeli lo richiedono.
Se ci fosse un conflitto, perché umanamente due gruppi possono entrare in contrasto,
l’autorità del vescovo – come dice il Motu Proprio – deve intervenire per evitarlo,
ma senza cancellare il diritto che il Papa ha dato a tutta la Chiesa.
Animato
da spirito di “riconciliazione”, come il Papa stesso ha sottolineato in una lettera
ai vescovi di tutto il mondo, il Motu Proprio è stato accompagnato da timori e preoccupazioni.
Anzi, come il Santo Padre stesso ha rilevato, “notizie e giudizi fatti senza sufficiente
informazione hanno creato non poca confusione”. Alessandro Gisotti ha rivolto al teologo
don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, alcuni
quesiti proprio sui punti oggetto di maggiore confusione da parte dei mass media: D.
– Qualcuno sostiene che con il Motu Proprio Summorum Pontificum si torna indietro
rispetto al Concilio Vaticano II. E’ vero?
R. – L’ultima
cosa che il Papa potrebbe desiderare è di usare la sua autorità per bandire un rito,
quello che dal Concilio Vaticano II ad oggi ha segnato la vita di due generazioni
di cattolici. Quindi, è assolutamente differente dall’imposizione di una riforma fabbricata
da esperti. Credo che poi gli orientali ortodossi lo capiscano bene e non a caso -
mi sembra - che il miglior assist al Motu Proprio è arrivato dal Patriarca di Mosca,
con la motivazione che “ogni recupero della tradizione liturgica va salutato positivamente
ed avvicina fra loro i cristiani”. Per chi conosce Benedetto XVI, mai egli abuserebbe
dell’autorità per raggiungere uno scopo apparentemente buono, tanta é profonda la
conoscenza che egli ha dell’intimo rapporto tra Liturgia e vita dei fedeli.
D.
– Ma, poi, questo Messale è stato mai abrogato?
R.
– Questo Messale si è presunto che si sia stato abrogato dal Vaticano II, ma non è
assolutamente così, perché – come diceva il cardinale Newman – nel corso della sua
storia la Chiesa non ha mai abolito o proibito forme ortodosse di Liturgia, perché
ciò sarebbe estraneo allo spirito stesso della Chiesa.
D.
– Si dice da più parti: “No al ritorno al latino, una lingua morta, che i fedeli non
comprendono”. Ma il latino non è ancora la lingua ufficiale della Chiesa?
R.
– L’importanza della lingua latina nella Liturgia va vista proprio all’interno dell’inevitabile
– direi – riferimento ad una lingua certamente classica, ma - nello stesso tempo -
strumento di unità. Un po’ come avviene per gli ortodossi con la lingua greca o la
lingua slava: essi continuano infatti ad usarla ordinariamente nella Liturgia per
i testi e per i canti, accanto naturalmente alla lingua parlata. Penso che non ci
debba essere alcun problema in merito.
D. – Per
qualcuno, con questa liberalizzazione del Messale di Pio V c’è il rischio che si formino
delle Chiese parallele. E’ davvero così?
R. – E’
noto che la questione della Liturgia sia al centro dei pensieri del Papa, già da quanto
era teologo e cardinale e, quindi, per lui rappresenta un po’ il centro di qualsiasi
rinnovamento della Chiesa, anche perché da sempre è fonte di conversione e di cambiamento
di tanta gente, di ogni lingua e nazioni. L’esempio celebre di Agostino e la Liturgia
di Ambrogio. Per questo il Motu Proprio, che permette un uso più ampio della Liturgia,
ha avuto una lunga gestazione, come è noto. Stiano, quindi, tranquilli: nessuno obbligherà
chicchessia a celebrarla, ma è ben triste che persone che passano per liberali e tolleranti
si scandalizzino di un atto che allarga gli spazi di libertà. E’ noto che il Papa
con questo atto liberale ha lanciato un grande segnale di riconciliazione. Non ha
abolito il nuovo rito per dire “si usi l’antico”, ma ha messo accanto anche questo
rito.
D. – Il Motu Proprio rimette ai sacerdoti
la decisione di accogliere le richieste dei fedeli aderenti alla precedente tradizione
liturgica. Per questo qualcuno ha affermato che il vescovo viene ridotto a notaio.
E’ così?
R. – Chiunque conosce le premesse dei Libri
Liturgici sa che la Santa Sede – e, quindi, il vescovo di Roma - ha una prerogativa
ultima nella regolamentazione della Liturgia. Come è noto il grande rischio negli
ultimi decenni è che ciascuno si faccia la propria Liturgia, mentre invece ci deve
essere una fondamentale unità della Liturgia Romana, pur nelle differenziazioni. Credo
che questo lo possa garantire soltanto il vescovo di Roma, che è il principio visibile
dell’unità della Chiesa, come dice la Lumen Gentium.
D.
– Per qualcuno il Summorum Pontificum è la dimostrazione del tradizionalismo di Benedetto
XVI. Ma non era stato già Giovanni Paolo II, nel 1988, a promulgare un Motu Proprio
sull’uso del Messale del 1962?
R. – Bisogna fidarsi
di Benedetto XVI. Egli porterà pian piano la saggezza dell’immaginazione cattolica
nella vita liturgica della Chiesa odierna. E questo perché egli comprende bene quanto
la creatività e la genialità non siano ostili alla tradizione, ma ne facciano parte
come linfa dello Spirito Santo. Non è un tradizionalista reazionario il Papa, ma nemmeno
un opportunista liberale. E’ un saggio amministratore, che sa estrarre cose nuove
e cose antiche, come dice Gesù nel Vangelo.