Intervista con il cardinale Darìo Castrillòn Hoyos sull'entrata in vigore del Motu
Proprio di Benedetto XVI 'Summorum Pontificum'
Il 14 settembre prossimo entra in vigore il Motu Proprio di Benedetto XVI Summorum
Pontificum, sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970. Qual è
il significato di questo evento? Giovanni Peduto lo ha chiesto al cardinale Dario
Castrillon Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei e per molti
anni prefetto della Congregazione per il Clero:
R. – Io direi che già Giovanni
Paolo II voleva dare ai fedeli che amavano l’antico rito - alcuni dei quali erano
passati al movimento dell’arcivescovo Le Feuvre, ma quando poi lui ha fatto le ordinazioni
lo hanno lasciato per mantenere la piena unità con il Vicario di Cristo - l’opportunità
di avere il rito che era più vicino alla loro sensibilità. Il Santo Padre Benedetto
XVI ha partecipato sin dall’inizio a tutta la questione Le Feuvre ed ha quindi conosciuto
benissimo il problema che creava a quei fedeli la riforma liturgica. Il Santo Padre
ha un amore speciale per la liturgia. Un amore, questo, che si traduce anche in capacità
di studio, di approfondimento della Liturgia stessa. Ecco perché Papa Benedetto XVI
considera un tesoro inestimabile la Liturgia anteriore alla Riforma del Concilio.
Il Papa non vuole tornare indietro. E’ importante sapere e sottolineare che il Concilio
non ha proibito la Liturgia di San Pio V e bisogna inoltre dire che i Padri del Concilio
hanno celebrato la Messa di San Pio V. Non è come alcuni sostengono, perché non conoscono
la realtà, un tornare indietro. Al contrario: il Concilio ha voluto essere ampio nelle
libertà buone dei fedeli. Una di queste libertà è proprio quella di prendere questo
tesoro – come dice il Papa – che è la Liturgia, per mantenerlo vivo.
D. – Eminenza,
lei ha spiegato molto bene cosa ha spinto il Santo Padre a prendere questa decisione.
Ma cosa cambia, in realtà, con questo Motu Proprio?
R. – Con questo Motu Proprio,
in realtà, il cambiamento non è tanto grande. La cosa principale è che in questo momento
è chiaro che tutti i sacerdoti possono decidere, senza permesso né da parte della
Santa Sede né da parte del vescovo, se celebrare la Messa nel rito antico. E questo
vale per tutti i sacerdoti. I parroci sono essi stessi che in parrocchia, come sempre,
devono aprire la porta a quei sacerdoti che, avendo le facoltà, vanno a celebrare.
Non è, quindi, necessario chiedere nessun altro permesso.
D. – Eminenza, questo
documento è stato accompagnato da polemiche e timori: ma cosa non è vero di quello
che è stato detto o letto?
R. – Non è vero che sia stato tolto ai vescovi il
potere sulla Liturgia, perché già il Codice dice chi deve dare il permesso per dire
Messa e non è il vescovo: il vescovo dà il celebret, la potestà di poter celebrare,
ma quando un sacerdote ha questa potestà, sono il parroco e il cappellano che devono
offrire l’altare per celebrare. Se qualcuno lo impedisce, tocca allora alla Commissione
Pontificia Ecclesia Dei prendere misure, a nome del Santo Padre, affinché questo diritto
– che è un diritto ormai chiaro dei fedeli venga rispettato.
D. – Eminenza,
alla vigilia dell’entrata in vigore del Motu Proprio, quali sono i suoi auspici?
R.
– I miei auspici sono questi: l’Eucaristia è la cosa più grande che noi abbiamo, è
la manifestazione più grande dell’amore, dell’amore redentore di Dio che ci vuole
accompagnare con questa presenza eucaristica. Questo non deve essere mai un motivo
di discordia o un motivo di battaglia ed è lì dove ci deve essere tutto l’amore. Io
auspico che questo possa essere un motivo di gioia per tutti coloro che amano la tradizione,
un motivo di gioia per tutte quelle parrocchie che non avranno più divisioni, ma avranno
– al contrario – una molteplicità di santità con un rito che è stato certamente il
fattore e lo strumento di santificazione per più di mille anni. Ringraziamo, quindi,
il Santo Padre che ha recuperato per la Chiesa questo tesoro. Non viene imposto niente
agli altri. Il Papa non impone l’obbligo; il Papa impone l’obbligo, però, di offrirlo
laddove i fedeli lo richiedono. Se ci fosse un conflitto, perché umanamente due gruppi
possono entrare in contrasto, l’autorità del vescovo – come dice il Motu Proprio –
deve intervenire per evitarlo, ma senza cancellare il diritto che il Papa ha dato
a tutta la Chiesa.