Rifiutare la logica dello scontro di civiltà: il commento del prof. Baggio a 6
anni dagli attentati dell'11 settembre
Gli attentati terroristici alle Torri Gemelle sono percepiti dall'81 per cento degli
americani come l'evento più importante della propria vita. E’ sufficiente questo dato,
diffuso oggi dalla società demoscopica Zogby International, per comprendere con quali
sentimenti il popolo americano commemora in queste ore il sesto anniversario degli
attacchi dell’11 settembre 2001. Tuttavia, questa data con il suo carico di sofferenze,
appartiene ormai a tutta l’umanità. Gli attentati a Madrid e Londra come in numerosi
Paesi islamici moderati ricordano drammaticamente che nessuno può considerarsi immune
dagli attacchi terroristici. Siamo dunque destinati a convivere con la paura del terrorismo?
Alessandro Gisotti lo ha chiesto al prof. Antonio Maria Baggio, docente
di etica politica alla Pontificia Università Gregoriana e profondo conoscitore della
realtà americana:
R.
– Ci siamo dentro da alcuni anni in questa situazione. Per la verità il terrorismo
è un modo radicale, estremo e terribile nel quale sono emerse delle fratture e dei
problemi che c’erano anche precedentemente. Certamente in nessun modo si può giustificare
la scelta terrorista. Non c’è niente che può giustificare questo tipo di scelta. Certamente
noi abbiamo una situazione mondiale con problemi grandemente irrisolti e, a volte,
situazioni di reale ingiustizia e di povertà possono sembrare ed è un errore, ma può
sembra a qualcuno che la soluzione possa essere avvicinata compiendo atti estremi.
D. – Con gli attentati dell’11 settembre, molti
americani si sono chiesti per la prima volta: "Perché ci odiano?" Oggi sappiamo quanto
l’antiamericanismo sia diffuso nel mondo. Si tratta di un fenomeno destinato a perdurare,
secondo lei?
R. – Perdura finché perdurano le ideologie
che sono portatrici di antiamericanismo. Mi spiego: l’antiamericanismo è stato un
elemento del grande scontro che ci fu lungo il Novecento tra socialismo e capitalismo.
Non possiamo pensare che, nonostante siano crollati i regimi socialisti, l’ideologia
che li alimentava sia scomparsa. Le ideologie fanno parte delle mentalità e durano
dunque a lungo: mutano, si camuffano, ma continuano ad avere dentro quel germe di
odio per gli Stati Uniti, perché vengono identificati con tutto il male possibile
che il capitalismo ha prodotto. Abbiamo, dall’altra parte, gli Stati Uniti che pensano
a se stessi come ad una nazione eletta e molto spesso notiamo negli statunitensi una
difficoltà ad autocriticarsi. Il ruolo che hanno nella situazione mondiale, per esempio,
tende a far sì che si sottraggono ai giudizi e per cui essi espongono il fianco a
delle critiche. Ma ricordiamoci sempre che la stessa esistenza degli Stati Uniti è
qualcosa che tanti popoli del mondo hanno prodotto. Questo esperimento statunitense
è stato fatto con il contributo di tanti popoli. Noi dobbiamo vedere anche la positività.
Gli Stati Uniti sono stati e sono ancora la terra, dove noi scappando da dittature
o semplicemente dalla fame abbiamo trovato la possibilità di ricominciare una esistenza.
D. – Nel discorso all’ambasciatore americano, il
13 settembre 2001, Giovanni Paolo II auspicò che questo atto disumano non fosse seguito
da una spirale di violenza. Purtroppo non è stato così ed anche in quella occasione
Papa Wojtyla fu profetico?
R. – Sì, è vero. Ricordiamo
intanto che gli attentati di Washington e di New York hanno minato una certezza che
esisteva fino ad allora: la certezza che lo Stato più forte del mondo non avrebbe
mai potuto essere colpito al cuore da una forza superiore ed ha dimostrato che la
forza, da sola, non è sufficiente per garantire la sicurezza, ma ci vogliono anche
altre cose. Ecco perché è importante non soltanto il dispiegamento di una azione militare,
che in certe situazione ci può anche essere, ma è importante creare condizioni di
giustizia, di stima, di dialogo, perché la forza non basta. Purtroppo è stata seguita
prevalentemente la strada della forza e questo in contraddizione diretta con la dottrina
cattolica sulla pace e sulla guerra.
D. – Dopo l’11
settembre si è parlato molto di scontro di civiltà...
R.
– Quando si parla di scontro fra civiltà si espone una teoria che razionalizza e cerca
di far accettare una situazione di scontro fra religioni, fra culture, fra sistemi
– diciamo – economici e culturali, che è stata creata. Non si tratta di una situazione
naturale, che è stata prodotta – diciamo – dall’essenza delle religioni. Sono state,
quindi, anche le scelte di questi anni che hanno scavato o hanno approfondito degli
abissi tra i popoli che rendono più plausibile parlare di scontri fra civiltà. Quindi
la dimensione della lotta va sempre messa insieme con un progetto di sviluppo e di
dialogo di tutti i popoli.
A sei
anni di distanza dall’11 settembre, “la pianta del terrorismo non è stata ancora estirpata”:
ne è convinto Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica “Limes”. Ascoltiamolo,
al microfono di Isabella Piro, tracciare un bilancio della strategia antiterrorismo
messa in atto finora dall’Occidente: