2007-09-11 14:44:52

Rifiutare la logica dello scontro di civiltà: il commento del prof. Baggio a 6 anni dagli attentati dell'11 settembre


Gli attentati terroristici alle Torri Gemelle sono percepiti dall'81 per cento degli americani come l'evento più importante della propria vita. E’ sufficiente questo dato, diffuso oggi dalla società demoscopica Zogby International, per comprendere con quali sentimenti il popolo americano commemora in queste ore il sesto anniversario degli attacchi dell’11 settembre 2001. Tuttavia, questa data con il suo carico di sofferenze, appartiene ormai a tutta l’umanità. Gli attentati a Madrid e Londra come in numerosi Paesi islamici moderati ricordano drammaticamente che nessuno può considerarsi immune dagli attacchi terroristici. Siamo dunque destinati a convivere con la paura del terrorismo? Alessandro Gisotti lo ha chiesto al prof. Antonio Maria Baggio, docente di etica politica alla Pontificia Università Gregoriana e profondo conoscitore della realtà americana:RealAudioMP3


R. – Ci siamo dentro da alcuni anni in questa situazione. Per la verità il terrorismo è un modo radicale, estremo e terribile nel quale sono emerse delle fratture e dei problemi che c’erano anche precedentemente. Certamente in nessun modo si può giustificare la scelta terrorista. Non c’è niente che può giustificare questo tipo di scelta. Certamente noi abbiamo una situazione mondiale con problemi grandemente irrisolti e, a volte, situazioni di reale ingiustizia e di povertà possono sembrare ed è un errore, ma può sembra a qualcuno che la soluzione possa essere avvicinata compiendo atti estremi.

 
D. – Con gli attentati dell’11 settembre, molti americani si sono chiesti per la prima volta: "Perché ci odiano?" Oggi sappiamo quanto l’antiamericanismo sia diffuso nel mondo. Si tratta di un fenomeno destinato a perdurare, secondo lei?

 
R. – Perdura finché perdurano le ideologie che sono portatrici di antiamericanismo. Mi spiego: l’antiamericanismo è stato un elemento del grande scontro che ci fu lungo il Novecento tra socialismo e capitalismo. Non possiamo pensare che, nonostante siano crollati i regimi socialisti, l’ideologia che li alimentava sia scomparsa. Le ideologie fanno parte delle mentalità e durano dunque a lungo: mutano, si camuffano, ma continuano ad avere dentro quel germe di odio per gli Stati Uniti, perché vengono identificati con tutto il male possibile che il capitalismo ha prodotto. Abbiamo, dall’altra parte, gli Stati Uniti che pensano a se stessi come ad una nazione eletta e molto spesso notiamo negli statunitensi una difficoltà ad autocriticarsi. Il ruolo che hanno nella situazione mondiale, per esempio, tende a far sì che si sottraggono ai giudizi e per cui essi espongono il fianco a delle critiche. Ma ricordiamoci sempre che la stessa esistenza degli Stati Uniti è qualcosa che tanti popoli del mondo hanno prodotto. Questo esperimento statunitense è stato fatto con il contributo di tanti popoli. Noi dobbiamo vedere anche la positività. Gli Stati Uniti sono stati e sono ancora la terra, dove noi scappando da dittature o semplicemente dalla fame abbiamo trovato la possibilità di ricominciare una esistenza.

 
D. – Nel discorso all’ambasciatore americano, il 13 settembre 2001, Giovanni Paolo II auspicò che questo atto disumano non fosse seguito da una spirale di violenza. Purtroppo non è stato così ed anche in quella occasione Papa Wojtyla fu profetico?

 
R. – Sì, è vero. Ricordiamo intanto che gli attentati di Washington e di New York hanno minato una certezza che esisteva fino ad allora: la certezza che lo Stato più forte del mondo non avrebbe mai potuto essere colpito al cuore da una forza superiore ed ha dimostrato che la forza, da sola, non è sufficiente per garantire la sicurezza, ma ci vogliono anche altre cose. Ecco perché è importante non soltanto il dispiegamento di una azione militare, che in certe situazione ci può anche essere, ma è importante creare condizioni di giustizia, di stima, di dialogo, perché la forza non basta. Purtroppo è stata seguita prevalentemente la strada della forza e questo in contraddizione diretta con la dottrina cattolica sulla pace e sulla guerra.

 
D. – Dopo l’11 settembre si è parlato molto di scontro di civiltà...

 R. – Quando si parla di scontro fra civiltà si espone una teoria che razionalizza e cerca di far accettare una situazione di scontro fra religioni, fra culture, fra sistemi – diciamo – economici e culturali, che è stata creata. Non si tratta di una situazione naturale, che è stata prodotta – diciamo – dall’essenza delle religioni. Sono state, quindi, anche le scelte di questi anni che hanno scavato o hanno approfondito degli abissi tra i popoli che rendono più plausibile parlare di scontri fra civiltà. Quindi la dimensione della lotta va sempre messa insieme con un progetto di sviluppo e di dialogo di tutti i popoli.

 

 A sei anni di distanza dall’11 settembre, “la pianta del terrorismo non è stata ancora estirpata”: ne è convinto Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica “Limes”. Ascoltiamolo, al microfono di Isabella Piro, tracciare un bilancio della strategia antiterrorismo messa in atto finora dall’Occidente: RealAudioMP3








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