I cristiani ripartono da Sibiu, più uniti, per riannunciare Cristo all'Europa e al
mondo: intervista con mons. Chiaretti
Uniti per portare Cristo all'Europa e al mondo perchè ciò che unisce è molto di più
di ciò che divide: è questo in sintesi quanto è emerso dalla Terza Assemblea ecumenica
europea che si è conclusa domenica scorsa a Sibiu, in Romania. Oltre duemila delegati
cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti hanno affrontato le grandi sfide che
si presentano ai cristiani nel Vecchio continente senza nascondere le divergenze,
ma con la consapevolezza della necessità di ripartire da Gesù, Salvatore del mondo.
Ha partecipato all'Assemblea di Sibiu mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo
di Perugia e membro del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani.
Fabio Colagrande lo ha intervistato:
R. –
L’impressione generale è che sono stati toccati punti fondamentali, senza girarci
intorno. Mi sembra che questo rappresenti un fatto molto importante, affinché arrivi
a noi stessi quali sono i punti di conflitto e di attrito. Ed è necessario, perchè
a volte possiamo anche illuderci e la stessa parola ‘dialogo’ può rendere più ovattata
questa situazione. Ci sono delle situazioni difficili e sono state ricordare da tre
personalità di grande impegno come il cardinale Kasper, come il metropolita Kirill
per gli ortodossi, e il prof. Huber per i protestanti. Ognuno di loro ha parlato,
senza chiaroscuri, con estrema forza, del contenzioso che tuttora esiste. Un contenzioso
sull’ecclesiologia, non sulla cristologia, su Gesù Cristo Figlio di Dio, vero uomo,
nostra luce: su questo c’è concordanza da parte di tutti. Siamo uniti sulla gran parte
della nostra fede, del nostro credo. Ci sono situazioni delicate per ciò che riguarda
il nostro essere Chiesa, ma per quello che ci unisce torniamo di nuovo a evangelizzare
questo nostro mondo europeo che mostra la fatica del credere, riannunciamo con forza
il Signore Gesù. E’ chiaro che da questo riannuncio di questa luce unica che pensiamo
di dare alla nostra Europa nascono poi delle conseguenze pratiche operative.
D.
– Mons. Chiaretti, lei come pastore come tradurrà queste giornate di impegno ecumenico
nella sua attività pastorale? C’è molto anche da insegnare, da raccontare ai fedeli,
qui in Italia, per quanto riguarda il dialogo ecumenico?
R.
– C’è molto da insegnare, se non altro per un dato oggettivo: ormai cominciamo ad
avere parecchie persone che vengono da altri contesti genericamente culturali, ma
anche da altri contesti religiosi. Quelli che vengono tra noi sono cristiani ma sono
cristiani anche ortodossi, protestanti, e seguaci di altre religioni, quindi portatori
di altre sensibilità. Allora il dialogo ecumenico sta diventando una necessità, un
modo di vivere la fede tra di noi e dobbiamo avere questa sensibilità, tenere presenti
questi fatti, trovare occasioni di incontro e sensibilizzare soprattutto la nostra
gente perché non faccia confusione. A volte ci sono delle tensioni che nascono per
problemi di tipo organizzativo ma queste tensioni non devono farci perdere il contatto
con l’identità di una persona. Una persona che, oltre ad avere bisogno di lavorare
perché altrimenti muore di fame, o che ha bisogno di libertà perchè nel suo Paese
era schiava, è anche una persona con una sensibilità religiosa. Quindi è molto importante
tutto il tema dell’accoglienza di queste persone, anche nella loro dimensione religiosa.
E’ un lavoro nuovo che dobbiamo fare.