Elezioni in Guatemala: appello dei vescovi a rafforzare democrazia e giustizia
Il Guatemala oggi alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali e legislative.
5 milioni di elettori sono chiamati a scegliere il nuovo capo dello stato tra 12 candidati,
anche se sono due i favoriti: l'esponente del centrosinistra, l’imprenditore Alvaro
Colom, e quello di centrodestra, l'ex generale Otto Perez Molina. L’outsider nella
corsa alla presidenza del Paese è il premio Nobel per la Pace, Rigoberta Menchu, prima
donna a candidarsi nella storia guatemalteca. Si prevede una bassa affluenza al voto
per il timore di violenze che hanno caratterizzato la campagna elettorale nella quale
hanno perso la vita almeno 50 persone tra candidati e militanti. Quali elementi valutare,
dunque, per queste consultazioni in Guatemala? Fausta Speranza lo ha chiesto
all’esperto di America Latina Luis Badilla, della nostra emittente:
R. -
Secondo me si potrebbero sottolineare due elementi: il primo è che per fortuna il
Guatemala sembra voler continuare sulla via democratica. Dopo tanti anni di guerra
civile, di regimi autoritari, di dittature militari, il Paese si avvia ad un nuovo
processo elettorale e questo va evidenziato come hanno fatto anche i vescovi del Guatemala.
Si tratta di un rafforzamento della democrazia guatemalteca che non può che dare beneficio
a tutta la regione centro-americana. Il secondo elemento da sottolineare è che con
ogni probabilità sarà scelto un modello economico diverso da quello economico neoliberale
che è completamente fallito: altro elemento messo in evidenza dai vescovi nelle diverse
esortazioni di questi ultimi mesi. Il Guatemala dunque si avvia a rafforzare la democrazia
ma anche a cambiare il modello economico. Chi vincerà con ogni probabilità, secondo
i sondaggi e gli studi statistici, proporrà una modifica al modello neoliberale selvaggio
del Paese che ha marcato le differenze sociali e soprattutto ha favorito l’iniquità.
D.
– Emergenze, violenze e squilibri sociali: il 15 per cento della popolazione controlla
circa il 76 per cento della ricchezza. Da dove cominciare? E soprattutto è il momento
per poter incidere seriamente su queste problematiche così gravi?
R.
– E’ l’augurio che si fanno gli elettori guatemaltechi ma anche i vescovi nei loro
documenti. Da una parte c’è la povertà – il Guatemala è, infatti, tra i Paesi più
poveri del continente americano e del mondo - e dall’altra c’è la scandalosa iniquità.
In pochissimi controllano quasi tutta la ricchezza del Paese mentre la maggioranza
è costituita dai cosiddetti aborigeni, gli indios.
D. – Differenze di
ricchezza ma anche differenze di riconoscimento culturale...
R.
– Torniamo ancora una volta a quanto hanno scritto e detto i vescovi guatemaltechi
in questi ultimi anni. Il problema del Guatemala, che andrebbe riconosciuto da parte
di tutta la società guatemalteca e soprattutto da parte del potere politico e della
classe governante, è che è uno stato binazionale nel quale convivono una minoranza,
per così dire non aborigena, con una maggioranza aborigena. Il Guatemala, come altre
nazioni dell’America latina, deve accettare e riconoscere che è formato da diversi
popoli, da diverse culture, civiltà, linguaggi, religioni, tradizioni spirituali e
via dicendo.