Appello del card. Martino per la difesa dei diritti umani dei detenuti e il sostegno
alle vittime dei reati: stop alla pena di morte
“La violenza non può che generare altra violenza, mai giustizia, pace, riconciliazione”.
Lo ha affermato con forza il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace, cardinale Renato Raffaele Martino, parlando stamani al XII Congresso della
Commissione internazionale della pastorale cattolica nelle carceri, in Roma da mercoledì
scorso per una settimana sul tema: “Scopri in ogni detenuto il volto di Cristo”. Il
servizio di Paolo Scappucci:
Rivolgendosi
agli oltre 200 partecipanti, religiosi e laici impegnati nella pastorale penitenziaria
di 56 Paesi dei cinque continenti, il cardinale Martino ha detto che “sarebbe una
grave contraddizione combattere le situazioni ingiuste che denunciamo con le stesse
armi che utilizzano coloro che le provocano e sarebbe disastroso che quanti sono identificati
come strumenti di pace e predicatori di riconciliazione intendessero vincere la violenza
ricorrendo alla stessa, porre fine all'emarginazione emarginando, lottare contro la
corruzione corrompendo”.
Dopo aver sottolineato che
scopo della pastorale penitenziaria è portare ai detenuti la Buona Novella dell’amore
redentore di Cristo rendendo concreta e tangibile la misericordia e la compassione
del Buon Samaritano nel mondo carcerario, il porporato ha indicato nella difesa dei
diritti umani dei reclusi una delle principali sfide che i cappellani delle carceri
devono affrontare, giacché la violazione di tali diritti nelle prigioni provoca maggiore
emarginazione, esclusione e sofferenza.
Ribadendo
il rifiuto della pena di morte e l’appoggio ad ogni iniziativa tendente a difendere
la vita dal concepimento alla morte naturale, il presidente di Giustizia e Pace ha
sostenuto che la pena capitale “impoverisce la società che la legittima e la pratica,
incorre in gravi pericoli come il punire irrimediabilmente degli innocenti, fomentare
la vendetta invece che l’autentica giustizia sociale; essa inoltre costituisce una
palese offesa dell’inviolabilità della vita umana, elimina ogni possibilità di recupero
sociale degli autori di delitti e, per quanti credono nel Dio della vita e della misericordia,
rappresenta un disprezzo dell’insegnamento evangelico del perdono”.
Nel
corso del suo discorso il cardinale Martino ha anche fatto proprio un appello della
Comunità di Sant’Egidio per la sospensione dell’esecuzione capitale di un detenuto
che da 13 anni è nel braccio della morte di un carcere del Texas, Joseph Leve. Il
cardinale ha appunto chiesto alle autorità texane di sospendere l’esecuzione e di
rivedere il processo.
Il cardinale Martino non ha
mancato di rilevare l’importanza del rinnovamento del sistema carcerario con l’adozione
più estesa di pene alternative alla reclusione, per una più efficace prevenzione dei
delitti e per il reinserimento sociale dei carcerati, una volta scontata la pena.
Ma non è mancato nelle sue parole la raccomandazione di maggiore attenzione e appoggio
alle vittime dei reati, la necessità di una coraggiosa denuncia profetica di ogni
tipo di tortura nelle carceri e in tutto il mondo, il sostegno alle famiglie dei detenuti,
evitando qualsiasi forma di marginalizzazione.
Ieri
pomeriggio aveva parlato al Convegno il Patriarca maronita Sfeir e, citando la famosa
frase di Pascal “Il Cristo sarà in agonia fino alla fine dei tempi”, la ha applicata
ai carcerati, soprattutto a coloro che sono detenuti ingiustamente e che sono quindi
in agonia con il Cristo, soffrendo della ingiustizia, della miseria, dell’intolleranza,
della fame e dell’umiliazione. Il Patriarca Sfeir ha anche detto che in Albania ci
sono 21 prigioni con 5.760 prigionieri e molti dei quali sono ancora in attesa di
giudizio. (Dalla Casa La Salle, in Roma, Paolo Scappucci, per la Radio Vaticana)