Mons. Vincenzo Paglia in vista dell'Assemblea ecumenica di Sibiu: i cristiani europei
non cedano alla tentazione del conflitto, ma accettino il confronto della diversità
I cristiani che vivono oggi in Europa scelgano la coerenza con i principi del Vangelo,
per rinsaldare un continente che fatica a costruire la propria unità sui valori bimillenari
che l'hanno generato. E' uno degli auspici con il quale mons. Vincenzo Paglia,
vescovo di Terni-Narni-Amelia e grande esperto di dialogo fra le Chiese, si accinge
a partecipare alla terza Assemblea ecumenica che inizierà dopodomani a Sibiu, in Romania.
Ascoltiamo il pensiero del presule, nell'intervista di Fabio Colagrande:
R. -
Tutti noi siamo chiamati a riandare nel profondo della nostra fede, perché più riscopriamo
Cristo, più ci ritroviamo uniti. In questo senso, l’Assemblea di Sibiu ha una tonalità
tutta particolare, perché richiede a noi cristiani di ritrovarci in questa profonda
unità che non annulla, ovviamente, le differenze che ci sono, ma ci fa guardare con
maggiore verità quello che ci unisce. Questo è particolarmente significativo in un
momento nel quale l’Europa ha bisogno di un’anima: questo Vecchio continente - che
in realtà fa sempre più fatica a sognare un’unità proprio mentre si allarga - ha estremamente
bisogno dei cristiani.
D. - Secondo lei, monsignor
Paglia, quale contributo particolare può dare oggi il cristianesimo europeo al mondo?
R.
- Quello di essere davvero cristiani. Ed ecco perché il tema, Cristo luce del mondo,
deve richiamarci tutti alla nostra identità cristiana. Noi possiamo contribuire alla
solidità dell’Europa se siamo davvero cristiani, se riusciamo ancora una volta a vivere
e a testimoniare il Vangelo. Tutto ciò è indispensabile per l’Europa e, a mio avviso,
è necessario anche perché l’Europa non si ripieghi in se stessa, come purtroppo sta
avvenendo, ma riscopra anche la sua vocazione mondiale. Io credo sia indispensabile,
in un mondo come quello di oggi - in cui la globalizzazione riguarda solo il mercato
o la povertà - che vi sia la globalizzazione dell’amore, della solidarietà, che è
molto deficitaria. Chi può farla, se non, anzitutto, i cristiani? Questa è la grande
sfida che troveremo anche a Sibiu, una sfida che nasce dallo stesso Vangelo.
D.
- Monsignor Paglia, secondo lei, come può proseguire il cammino se nelle diverse Chiese
e comunità cristiane europee permane una visione diversa dell’unità cristiana, una
diversa visione ecclesiologica?
R. - Penso che noi
cristiani rischiamo di soccombere a quella cultura del conflitto o anche, a motivo
della paura, del ripiegamento su se stessi, che ci fa perdere di vista i legami fondamentali
che noi abbiamo. Credo che questa sia la prima tentazione da evitare. Cioè l’accentuazione
dell’identità come contrapposizione e non, invece, come deve essere, come capacità
anche di stare insieme nonostante le differenze, che esistono e che devo suonare sempre
più come una ferita lacerante. Le ferite ci sono e devono suonarci amare, molto amare.
Dall’altra, credo che il Signore ci abbia donato una forza straordinaria, che ci permette
di guardare con speranza audace il futuro. Perché non augurarci, all’inizio di questo
nuovo terzo millennio, un millennio di ritrovamento dell’unità? Certo non sarà un
cammino facile, perché poi l’unità è un dono di Dio. Però, credo che sia particolarmente
urgente che noi cristiani non perdiamo di vista questo anelito, che era lo stesso
di Gesù quella sera, prima di andare a morire, che tutti siano una cosa sola.