Nel giorno della festa del Curato d’Ars, patrono dei parroci, riecheggiano le parole
di Benedetto XVI sul ruolo del sacerdote, pronunciate nell’incontro con il clero del
Cadore
La Chiesa celebra oggi la memoria di San Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci,
conosciuto e amato dai fedeli di tutto il mondo come il Curato d’Ars dal nome del
villaggio francese dove questa grande figura di sacerdote visse tra la fine del XVII
e la metà del XVIII secolo. Fin dall’inizio del suo Pontificato - ricordiamo l’incontro
con il clero della diocesi di Roma il 13 maggio 2005 - Benedetto XVI ha riservato
un’attenzione particolare alle esigenze dei sacerdoti. La settimana scorsa, incontrando
ad Auronzo il clero del Veneto - durante il suo periodo di riposo a Lorenzago - il
Papa ha messo l’accento sulle priorità per il ministero sacerdotale. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
Chi è
il sacerdote oggi? Quali sono le sfide più urgenti per il suo servizio alla Chiesa
e ai fedeli? Benedetto XVI ha colto l’occasione dell’incontro con il clero del Cadore,
del 24 luglio scorso, per riprendere e approfondire una riflessione intrapresa fin
dai primi giorni del suo Pontificato. Rispondendo ad un parroco cadorino, il Papa
ha messo l’accento sulle tre priorità, anzi i tre imperativi che il Signore stesso
dà ai suoi discepoli:
"Il Signore dà tre imperativi,
che mi sembrano esprimere anche oggi sostanzialmente le grandi priorità del lavoro
di un discepolo di Cristo, di un sacerdote. I tre imperativi sono: pregate, curate
e annunciate. Penso che dobbiamo trovare l’equilibrio tra questi tre imperativi essenziali,
tenerli sempre presenti come cuore del nostro lavoro. Pregate: cioè senza una relazione
personale con Dio, tutto il resto non può funzionare, perché non possiamo realmente
portare Dio e la realtà divina e la vera vita umana alle persone, se noi stessi non
viviamo in una relazione profonda, vera, di amicizia con Dio, in Cristo Gesù". C’è
poi il secondo compito indicato da Gesù: curare gli ammalati, quanti hanno bisogno.
E’ questo, ha sottolineato Papa Benedetto, “l’amore della Chiesa per chi soffre” ed
ha avvertito che “anche le persone ricche possono essere interiormente emarginate
e soffrire”. “'Curare' si riferisce a tutti i bisogni
umani, che sono sempre bisogni che vanno in profondità verso Dio. E’ quindi necessario,
come si dice, conoscere le pecorelle, avere relazioni umane con le persone affidateci,
avere un contatto umano e non perdere l’umanità, perchè Dio si è fatto uomo e ha così
confermato tutte le dimensioni del nostro essere umano". Quindi,
il terzo imperativo: annunciare il Regno di Dio, rendere presente la Parola di Dio
in mezzo agli uomini:
"Che cosa annunciamo noi?
Annunciamo il Regno di Dio. Ma il Regno di Dio non è una lontana utopia di un mondo
migliore, che forse si realizzerà tra 50 anni o chissà quando. Il Regno di Dio è Dio
stesso, Dio avvicinatosi e divenuto vicinissimo in Cristo. Questo è il Regno di Dio:
Dio stesso è vicino e dobbiamo noi avvicinarci a questo Dio che è vicino, perché si
è fatto uomo, rimane uomo ed è sempre con noi nella sua Parola, nella Santissima Eucaristia
e in tutti i credenti". Nell’intreccio
di queste tre priorità, è l’esortazione del Pontefice, bisogna tener conto di tutti
gli aspetti umani, riconoscendo i propri limiti:
"E’
importante anche questa umiltà, che riconosce i limiti delle nostre forze. Quanto
non possiamo fare, deve fare il Signore. Ed anche la capacità di delegare, di collaborare.
Tutto questo sempre con gli imperativi fondamentali del pregare, curare e annunciare". Nel
dialogo con i sacerdoti del Cadore, improntato alla spontaneità, il Papa ha anche
ribadito che il cattolicesimo è una religione di sintesi, non di esclusivismi. E ad
un parroco che gli chiedeva se fosse sconveniente per un prete giocare a pallone,
ha risposto così:
"Cattolico vuole dire proprio
'sintesi'. Perciò sarei contro una alternativa o giocare al pallone o studiare la
Sacra Scrittura o il Diritto Canonico. Facciamo ambedue le cose. E’ bello fare lo
sport, io non sono un grande sportivo, ma magari andare in montagna mi piaceva quando
ero ancora più giovane, adesso faccio solo camminate molto facili, ma sempre trovo
molto bello camminare qui in questa bella terra che il Signore ci ha dato. Quindi
non possiamo sempre vivere nella meditazione alta, forse un Santo nell’ultimo gradino
del suo cammino terrestre può arrivare a questo punto, ma normalmente viviamo con
i piedi per terra e gli occhi verso il cielo. Ambedue le cose ci sono date dal Signore
e quindi amare le cose umane, amare le bellezze della sua terra non solo è molto umano,
ma è anche molto cristiano e proprio cattolico”.