Tornano le bombe in Iraq dopo la festa per la vittoria irachena nella Coppa d'Asia
di calcio
Mattinata di sangue in Iraq, dopo i festeggiamenti per la vittoria della nazionale
di calcio irachena alla Coppa d’Asia. Un minibus imbottito di esplosivo è saltato
in aria in un quartiere commerciale a prevalenza sciita di Baghdad, uccidendo almeno
6 persone e ferendone oltre 30. E poi, il comando statunitense ha fatto sapere che
tre soldati americani sono stati uccisi la settimana scorsa nella provincia sunnita
occidentale di Anbar, roccaforte dei ribelli. Sul fronte diplomatico, intanto, ieri
l’ambasciatore USA all'ONU, Zalmay Khalilzad, ha accusato l'Arabia Saudita ed altri
Paesi alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente di sabotare gli sforzi fatti per
ridurre le violenze in Iraq. E prende il via oggi la visita nella regione mediorientale
del segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, e del segretario alla Difesa,
Robert Gates. Egitto e Arabia Saudita saranno le tappe del loro tour diplomatico.
Al centro degli incontri, la situazione in Iraq e la posizione statunitense nell’area,
in relazione alle minacce iraniane, oltre che il processo di pace in Medio Oriente.
Ieri,
nonostante il coprifuoco imposto dalle autorità, un fiume di iracheni avvolti da drappi
neri, bianchi e rossi ha invaso le strade di Baghdad e non solo per festeggiare la
vittoria della nazionale di calcio dell’Iraq che - per la prima volta - si è aggiudicata
la Coppa d'Asia. Nella finale a Giakarta, in Indonesia, gli iracheni hanno battuto
per 1 a 0 l'Arabia Saudita. A segnare il gol della vittoria, il capitano Younes Mahmud,
che ha guidato senza esitazioni una squadra di giocatori sciiti, sunniti e curdi.
Proprio sulla vittoria di questa formazione unita dalla bandiera irachena, Giada Aquilino
ha raccolto il commento di mons. Philip Najim, procuratore apostolico della comunità
caldea in Europa:
R. - E’
l’autentica faccia dell’Iraq e della sua identità. Quella di ieri è stata davvero
la squadra nazionale che rappresentava tutti gli iracheni: l’Iraq è sempre stato così,
non c’è mai stata distinzione tra sciiti, sunniti, curdi o altre etnie locali. Un
popolo unito dal gioco del calcio, uno sport che poi fa parte della cultura irachena.
D. – I tifosi hanno detto che i politici iracheni dovrebbero prendere esempio
dai calciatori ed unire l’Iraq. E’ possibile?
R. – L’Iraq potrebbe anche essere
come la squadra che ieri ha giocato e vinto, che ha lavorato per il popolo, per la
bandiera e per la pace. L’auspicio è che i politici, se intenzionati davvero a impegnarsi
a favore dell’uomo, riescano ad alleviare le sofferenze del Paese per creare un futuro
nuovo e prosperoso.
D. – Perché non è stato possibile fino ad ora?
R.
– Perché spesso i politici, nei rispettivi rami, hanno avuto interessi personali e
non hanno dato la priorità alla Nazione e al popolo iracheno.
D. – Allo stadio
di Giakarta, per la finale, c’era lo striscione: “La guerra non ucciderà mai il calcio”.
Quali altre cose non riuscirà a fare la guerra?
R. – La guerra non può uccidere
l’amore, la guerra non può uccidere la pace, la guerra non può uccidere l’uomo: magari
lo uccide fisicamente ma non spiritualmente. Questo è lo spirito degli iracheni. Ciò
che unisce gli iracheni, a prescindere che siano sunniti o sciiti, musulmani o cristiani,
è la terra. Perciò la guerra e il terrorismo specialmente non riusciranno mai a fermare
il processo iracheno verso la pace.
D. – Ci sono segnali di cambiamento?
R.
– Certamente. La vittoria calcistica di ieri è stata una grande lezione e anche una
grandissima sfida contro il terrorismo. I giocatori della nazionale hanno dato così
una lezione al terrorismo e cioè che la volontà dell’iracheno, per raggiungere la
meta della pace e di un avvenire migliore per il Paese, esiste davvero ed esisterà
anche in futuro.