2007-07-22 14:38:30

Ricordare il lavoro dei missionari non solo in caso di eventi drammatici. La riflessione di padre Piero Gheddo, missionario del PIME e amico di padre Bossi


Sta pensando all'Agorà di Loreto del prossimo settembre come occasione per vedere e ringraziare personalmente il Papa per la sua solidarietà. Ma anche per testimoniare ai giovani quanto gli è accaduto per “coinvolgerli, a invitarli a compiere una riflessione e a farli innamorare di Gesu”. Padre Giancarlo Bossi, il missionario del PIME tornato libero dopo 39 giorni di prigionia nelle Filippine, ha confidato di essere stato invitato all’appuntamento di Benedetto XVI con i giovani nella città della Casa lauretana. Intanto, la vicenda del religioso italiano ha riportato in primo piano le analoghe storie di sacrificio e di dedizione che vivono migliaia di missionari in molte zone difficili del pianeta. Storie che non godono quasi mai dell'attenzione mediatica, se non in caso di eventi drammatici. E' quanto rileva, al microfono di Fabio Colagrande, padre Piero Gheddo, missionario del PIME e amico di padre Bossi:RealAudioMP3


R. - Bisognerebbe dare maggiore attenzione a questi 13 mila rappresentanti della nostra Chiesa italiana, ma anche a tutti gli altri che sono nel mondo per amore della gente. Mi dispiace che i mass media parlino dei missionari solo quando c’è un sequestrato, un martire, un perseguitato: sempre per fatti negativi che vedono i missionari come vittime. Secondo me, bisognerebbe parlare delle cose positive che fanno i missionari perché sono esempi per tutti, specialmente per i giovani.

 
D. - Allora parliamo del ruolo del missionario oggi…

 
R. - Sono diventato prete nel ’53 ma ho girato poi il mondo, ho visitato tutte le missioni, tutti i continenti, tutti i Paesi, e ho visto l’importanza del missionario cattolico, protestante, cristiano, nel mondo non cristiano. Il motivo è facile da capire: il missionario porta Gesù Cristo, di cui tutti i popoli hanno bisogno. Anche quelli che già credono in Dio e che hanno delle loro forme religiose, tutti hanno bisogno di Gesù Cristo che è la rivelazione completa finale del Padre e che indica all’uomo quella via per arrivare a Dio. Questo non è solo un fatto di natura solo religiosa o filosofica ma coinvolge la cultura, l’aspetto della vita, l’umanità della vita. Ricordo Paolo VI che diceva: "Senza Cristo non esiste vero umanesimo". C’era stata quasi una rivolta di molti pensatori, di molti scrittori che dicevano: ma come, adesso noi dobbiamo farci cristiani… Non è che uno debba farsi cristiano, ma Gesù Cristo è quello che indica il vero uomo. Questo nel nostro mondo cristianizzato da 2000 anni in cui i valori cristiani sono stati assorbiti, magari non praticati da tutti, ma sono nella nostra cultura, nella nostra tradizione. Se invece andiamo in un mondo non cristiano, questo lo si vede e lo si tocca con mano.

 
D. - Padre Gheddo, lei pensa che il ruolo del missionario oggi nel Duemila sia un po’ cambiato rispetto a qualche decennio fa?

 
R. - Cambiato nel senso che ormai abbiamo molte chiese giovani, in quasi tutti Paesi del mondo abbiamo chiese fondate dai missionari nei secoli scorsi, che producono vescovi, sacerdoti suore cristiani e quindi non c’è bisogno del missionario che porti il Vangelo per la prima volta a quel popolo. Una volta il missionario era il pioniere, il protagonista, il fondatore di chiese. Oggi è quello che stimola, anche le chiese locali già fondate, ad andare oltre, verso i non cristiani, ad evangelizzare le culture, al il dialogo interreligioso, alla promozione umana e quindi alla giustizia e a tutti i rapporti della società che dovrebbero diventare più giusti. Il ruolo del missionario è cambiato ma è sempre quello: portare Gesù Cristo.

 
 







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