2007-07-21 14:17:48

La vicenda di padre Bossi, simbolo del difficile servizio della Chiesa sulle frontiere della missione. Intervista con padre Davide Sciocco e padre Giulio Mariani


“Voglio tornare a Payao e salutare la mia gente, dire loro che sto bene e soprattutto abbracciare di nuovo i bambini. Il mio cuore è e resta a Payao, resta nelle Filippine”. Hanno colpito tutti le parole di padre Giancarlo Bossi, che appena rilasciato dopo 39 giorni di dura prigionia, ha manifestato l’intenzione di voler tornare al più presto alla sua missione. Non sono stupiti invece i confratelli del missionario del PIME, perché le parole di padre Bossi esprimono proprio lo spirito con i quali operano i missionari. Ecco il commento del direttore della rivista Mondo e Missione, padre Davide Sciocco, intervistato da Alessandro Gisotti: RealAudioMP3
 
R. - Questo riflette proprio quello che è il missionario, cioè un uomo che prima di pensare a se stesso pensa agli altri a cominciare dalle persone a cui è stato mandato, quindi lui ha subito avuto la preoccupazione di avvisare la sua famiglia di Abbiategrasso, ma nello stesso tempo la preoccupazione di ritornare tra la sua gente a Mindanao ed anche più volte ha manifestato dolore per i militari che sono stati uccisi mentre erano alla ricerca dei suoi rapitori. In realtà, non era così. Però, lui si è sentito coinvolto e quindi più volte ha chiesto di esprimere il proprio dolore e ha fatto sapere alla famiglia di pregare per questi militari uccisi. Tutto questo ci dice proprio quanto il missionario viva la dedizione agli altri: non è un’avventura, non è neanche un mettere al centro se stesso, ma il farsi carico degli altri.

 
D. - Chi è oggi il missionario, e qual è il contributo che porta nei luoghi più dispariti del pianeta?

 
R. - Il missionario è un uomo che segue i tempi e quindi la missione sta cambiando e continua a cambiare e ha molti volti in base sia alla persona che è inviata, sia ai luoghi nei quali è inviato. Sicuramente, rimane di estrema attualità il fatto che il missionario sia chiamato da Dio e inviato per rendere presente Cristo, il Vangelo, in modo più evidente. Perché sappiamo che anche là dove la Chiesa non è presente, lo Spirito già opera. Questo credo sia il fondamento. Poi, è chiaro che la missione continua a cambiare. Quindi, in alcuni luoghi essere missionario vuol dire semplicemente condividere la vita della gente, in alcuni luoghi non si può parlare esplicitamente di Gesù, in altri neanche si può fare opera sociale, mentre altrove il missionario - come è un po’ nella zona di padre Giancarlo - ha un’attività pastorale molto forte e un’attività di dialogo con i non cristiani, in particolare nella sua zona con i musulmani.

 
D. - Dunque, il missionario strumento di dialogo e di riconciliazione?

 
R. - Vorrei sottolineare un aspetto interessante del missionario molto attuale che è quello di essere ponte tra culture. Una volta il missionario partiva ad esempio dall’Italia, partiva molte volte e si confondeva anche un po’ l’annuncio del Vangelo con la diffusione della nostra civilizzazione. Oggi, non è così. Oggi, è un ascolto reciproco e il missionario diventa anche un ponte perché noi missionari viviamo in realtà dove siamo stranieri, dove siamo minoranza e oggi questi stranieri, queste minoranze, arrivano da noi qui in Italia e c’è il rischio anche di vederli soprattutto come una minaccia, come un’invadenza. Il missionario che invece ha già sperimentato cosa vuol dire cosa essere straniero, essere ospite in un’altra terra, può aiutare la società italiana di oggi a vivere con un atteggiamento diverso, con un atteggiamento di dialogo e di apertura, l’incontro con altri popoli, culture e religioni.

 
E la vicenda i padre Bossi ha riportato in primo piano anche la realtà delle missioni nelle Filippine. Ecco la testimonianza di padre Giulio Mariani, missionario del PIME nelle Filippine dal 1985 al 2001 che dal primo ottobre tornerà nel Paese asiatico come direttore del Centro Euntes a Zamboanga City. L’intervista è di Fabio Colagrande:RealAudioMP3

 
R. - Siamo nelle Filippine per aiutare la Chiesa filippina nelle parrocchie dove non ci sono preti, ma siamo là principalmente per portare avanti un dialogo con i musulmani, un dialogo di vita, e un dialogo con i tribali: questo è il nostro fine principale.

 
D. - E’ una presenza quella dei missionari del PIME nelle Filippine che verrà ridiscussa dopo questa vicenda?

 
R. - Non credo. La comunità del PIME delle Filippine si radunerà la prima settimana di agosto, sarà presente anche il superiore generale, e ci sarà padre Bossi. Una settimana di esercizi che è stata convertita in una settimana di riflessione, ma non è in vista di cambiamenti della direzione della nostra presenza, lo posso affermare abbastanza serenamente.

 
D. - Lei crede che la vicenda di padre Bossi vi abbia dato una nuova consapevolezza?

 
R. - Ci ha dato una nuova spinta alla missione. Consapevolezza solo nel senso che sappiamo che bisogna usare molta prudenza e, infatti, muovendoci in queste zone dove sappiamo che ci sono dei pericoli più pronunciati, noi ci muoviamo sempre con delle persone che ci accompagnano e ci proteggono come nel caso del sequestro di padre Bossi: c’erano due catechisti con lui, che sono stati rilasciati subito. Non possiamo dimenticare che il Vangelo ci dice che dobbiamo essere semplici come le colombe ma prudenti come dei serpenti.







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