Alla Radio Vaticana, il grazie commosso di padre Giancarlo Bossi al Papa, al termine
dei 39 giorni di prigionia nelle Filippine
Grande gioia, dunque, in tutta la Chiesa, a partire dal Papa, per la liberazione di
padre Giancarlo Bossi, il missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere rapito
il 10 giugno scorso nell’isola di Mindanao. Il sacerdote è stato liberato, ieri, ad
una decina di chilometri dalla sua parrocchia di Payao, dove opera abitualmente. Dimagrito,
provato, è comunque determinato a tornare presto alla vita di sempre. Informato delle
diverse iniziative di solidarietà organizzate per lui e della preghiera di Benedetto
XVI, il sacerdote, commosso, ha ringraziato - ai nostri microfoni - il Santo Padre
e quanti si sono prodigati per la sua liberazione. Tiziana Campisi ha raggiunto
telefonicamente padre Giancarlo Bossi a Manila, dove, accompagnato da padre
Gianni Sandalo, superiore del PIME nelle Filippine, trascorrerà alcuni giorni di riposo:
R. –
Sto bene. Ho perso un po’ di peso, ma per il resto tutto bene. D.
– Che cosa può raccontarci di questi giorni?
R. –
E’ un’esperienza che non desidero faccia nessuno, perché è molto dura. Andrei calmo
nel consigliare a qualcuno di avere esperienze come la mia. D’altra parte, sto capendo
pian piano che insegna tante cose. Avrò, quindi, tempo, credo, in questi mesi di riflettere
su quello che veramente è accaduto.
D. – Ci sono
stati dei momenti difficili, dei momenti in cui si è scoraggiato?
R.
– No, grazie al cielo non mi sono mai scoraggiato, grazie all’esperienza di padre
Benedetto, rapito e poi rilasciato, e di padre Giuseppe Pierantoni, anche lui rapito
e rilasciato. Per cui, anch’io mi ero messo il cuore in pace e mi ero detto: “Anch’io
verrò rilasciato un giorno”. Non ho mai perso la tranquillità dentro di me e di questo
devo ringraziare veramente il Signore, che mi ha tenuto sereno e tranquillo di fronte
a tutto quello che mi stava accadendo.
D. – C’era
un dialogo con i suoi sequestratori?
R. – Tutti i
giorni si parlava del più e del meno. Loro pregavano ed io pregavo. Una delle domande
che facevo loro, e anche a me stesso, era: “Ma stiamo pregando lo stesso Dio o è un
Dio diverso, visto che voi pregate con il fucile a destra ed io rapito a sinistra?
E’ lo stesso Dio che vuole tutte queste cose o che cosa?” Per cui pian piano certe
domande sono ancora dentro di me e devo ancora approfondire tutto il senso di queste
cose.
D. – Le hanno spiegato le motivazioni del suo
sequestro?
R. – Loro vogliono i soldi per poter comprare
le armi e la motivazione per rapirmi è che io sono italiano, quindi, non essendo filippino,
il governo in tutti i sensi avrebbe cercato la mia liberazione.
D.
– E’ stato informato delle tante iniziative di preghiera e di solidarietà, anche della
preghiera di Benedetto XVI per lei?
R. – Io dico
grazie di cuore per la preghiera del Papa e di padre Gianni, il superiore, che tutti
i giorni mi spiegherà un pezzettino di tutto quello che è stato fatto per me. Io lo
devo ringraziare, perchè ogni giorno la mia gioia aumenta sempre di più. Bisogna ringraziare
tutta questa gente che ha pregato per me. Una delle cose della mia esperienza è che
nel tempo libero, che era tanto, pensavo a tutta la mia vita, a tutte le persone che
ho incontrato, alle facce degli amici, agli amici vivi, agli amici morti e credo che
anche questo sia stato molto bello. D. – Padre Bossi, lei è
un missionario. Questa esperienza come le ha fatto guardare alla sua missione?
R.
– Credo mi abbia fatto capire che siamo ancora molto lontani dal riconoscerci come
fratelli. Io spero e credo che arriverà il giorno in cui potremo dire assieme che
Dio è nostro Padre da figli di Dio e riconoscere che tra di noi siamo veramente fratelli
e sorelle.
E tanta anche la felicità e l’emozione per
la liberazione di padre Bossi nel Pontificio Istituto Missioni Estere, di cui il religioso
fa parte. Stefano Leszczynski ha raggiunto telefonicamente padre Giambattista
Zanchi, superiore generale del PIME:
Ringrazio
il Signore perché ha accolto la preghiera di tanti cristiani e non cristiani. Durante
questo periodo, abbiamo anche avuto momenti di viva preoccupazione, perché è sempre
difficile controllare le notizie. Ci era giunta voce una volta addirittura che lo
avevano visto che lo picchiavano e poi lo portavano via. Ci sono tanti sciacalli,
c’è stata gente che sosteneva di conoscere il posto dove lo tenevano, che avrebbero
parlato in cambio di soldi. Non è stato facile gestire tutto questo.
D.
– Molti missionari hanno vissuto esperienze drammatiche. C’è qualcosa che li fa recedere
dal loro spirito missionario o continuano a fare quello che facevano prima?
R.
– Davanti a queste esperienze – e noi ne abbiamo avute già diverse in altri Paesi,
anche in guerra – tutti ci dicono che sono proprio i missionari che vogliono restare,
che non vogliono tornare anche quando sono invitati a lasciare il posto perché può
essere rischioso. Questo fa parte della nostra vocazione. Noi andiamo e siamo nelle
mani di Dio; andiamo per il bene di tutti e questo lo hanno capito anche i musulmani
della zona di Payao. Padre Bossi è veramente al servizio della gente, semplicemente
per mostrare che Dio vuole bene a tutti.