Con un rinnovato impegno alla riconciliazione dei popoli balcanici, si è chiusa
ieri la Conferenza episcopale della Bosnia ed Erzegovina
La difficile situazione dei cattolici e le conflittualità che permangono nell’intera
regione dei Balcani sono state al centro dei lavori, chiusi ieri, della Conferenza
episcopale della Bosnia, riunita a Banja Luka, in concomitanza con il luttuoso anniversario
della strage di Srebenica, il più grave eccidio - consumato in Europa - dalla Seconda
Guerra Mondiale ai danni di circa 8 mila musulmani, vittime dell’Esercito serbo guidato
dal generale Mladic. Un genocidio consumato 12 anni fa, l’11 luglio del 1995, nell’enclave
islamica nella Bosnia Erzegovina, sotto la protezione dell’ONU, che non seppe garantire
quelle migliaia di vittime civili innocenti. Luca Collodi ha intervistato mons.
Ivo Tomasevic, segretario della Conferenza episcopale della Bosnia ed Erzegovina,
che lamenta a tutt’oggi gravi manchevolezze nel riappacificare le popolazioni e ricostruire
il Paese su fondamenti di giustizia:
R. –
Posso dire che in Bosnia ed Erzegovina la situazione non è risolta a livello dello
Stato, perché con gli Accordi di Dayton era stata fermata la guerra, ma non era stata
fatta giustizia. Sono state, anzi, compiute tante ingiustizie, specialmente riguardo
proprio alla divisione nelle due entità, che hanno in qualche modo legalizzato molti
crimini di guerra. Dodici anni fa non è stato applicato assolutamente un sistema giusto
a livello statale. I vescovi, due anni fa, proprio riguardo a tutto questo, hanno
fatto una proposta concreta su come poter riorganizzare lo Stato della Bosnia ed Erzegovina,
creando quindi uno Stato in cui tutti e tre i popoli, tutti i cittadini abbiano gli
stessi diritti su tutto il territorio della Bosnia ed Erzegovina.
D.
– Mons. Tomasevic, a Banja Luka siete stati impegnati in una riunione della Conferenza
episcopale bosniaca. Siete nella Repubblica serba di Bosnia ed uno dei temi che state
affrontando è quello relativo alla situazione all’interno della diocesi di Banja Luka,
una diocesi il cui territorio si trova per lo più in territorio serbo…
R.
– Sì, è proprio così. La Chiesa della diocesi di Banja Luka ha sofferto molto tutta
questa situazione. Conta 110 mila cattolici e circa 70 mila sono stati cacciati: sono
molto pochi quelli che sono restati nelle zone dove i serbi hanno il controllo. Il
vescovo Komarica, il vescovo di Banja Luka, all’inizio dei lavori della riunione della
Conferenza episcopale ha detto che la situazione è molto triste perché sono molto
pochi i profughi che sono rientrati e quelli che sono restati non godono purtroppo
di tutti i diritti. La Chiesa cerca di aiutare come può: nella diocesi ha anche aperto
un centro scolastico e si impegna molto a livello di Caritas anche perché, a livello
politico, in special modo nella Repubblica Serba, non viene fatto niente per i cattolici
per farli rientrare. Nella diocesi di Banja Luka sono stati uccisi 7 sacerdoti ed
una suora e nessuno sembra esserne responsabile. Questo deve cambiare e si può cambiare.
D. – Mons. Tomasevic, come Conferenza episcopale
bosniaca vi state anche occupando di un altro problema, non solo bosniaco ma balcanico,
quello cioè del traffico degli esseri umani…
R. –
Sì e purtroppo di questo non si parla neanche molto nei media e a livello politico,
malgrado siano molte le persone coinvolte in questo traffico. I vescovi vogliono fare
qualcosa anche a livello di pastorale per cercare di dare delle risposte concrete
per aiutare queste persone, in special modo i giovani e le donne che sono in strada,
che non hanno una casa e sono le prime vittime della droga e di molti altri problemi.