Gli ultimi documenti di Benedetto XVI rinnovano il valore del Concilio Vaticano II:
ai nostri microfoni, l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, commenta il Motu
proprio del Papa e il testo sulla dottrina della Chiesa
Un testo che non presenta alcuna difficoltà ecumenica: è quanto sottolinea l’arcivescovo
di Chieti-Vasto, Bruno Forte, a proposito del documento sulla Chiesa cattolica, pubblicato
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede martedì scorso. In questa intervista
di Alessandro Gisotti, mons. Bruno Forte mette l’accento sul forte richiamo del documento
al Concilio Vaticano II:
R. -
Questo documento ribadisce esattamente ciò che dice il Vaticano II, che parla - distinguendo
- di Chiese e di comunità ecclesiali in riferimento alle comunità di cristiani non
cattolici. Questo uso era fondato nell’intenzione del Vaticano II di distinguere quelle
comunità che hanno mantenuto la natura della Chiesa secondo l’idea cattolica e, dunque,
hanno mantenuto il sacerdozio nella successione apostolica e nell’Eucaristia e quelle
comunità che, invece, non avendo mantenuto questa stessa natura non possono essere
allo stesso titolo considerate Chiese. Questa distinzione intende aiutare l’ecumenismo
a costruirsi sempre nel rispetto dell’altro. In altre parole, la diversa idea di Chiesa
che hanno le comunità uscite dalla Riforma, fa sì che - esse stesse - nei loro documenti
sottolineino questa diversità nei confronti della Chiesa cattolica romana. E’ dunque
giusto rispettare questa diversa autocoscienza ed esprimerla anche in un diverso linguaggio.
D. - Fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto
XVI ha invocato un dialogo ecumenico che camminasse sul doppio binario della verità
e della carità. Questo documento si inserisce appieno in questa cornice?
R.
- Si inserisce nel dialogo della verità proprio perché richiama una fondamentale distinzione
relativa al concetto di Chiesa che non bisogna assolutamente ignorare, pena la trasformazione
dell’ecumenismo in un irenismo facile, che non serve a nessuno. Richiama anche il
valore del dialogo della carità, perché riprendendo l’idea della Lumen Gentium
- 8 - ovvero che la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica sussiste nella
Chiesa cattolica, sotto la guida del Successore di Pietro e dei vescovi in comunione
con lui - usando quel “subsistit in”, quel sussiste, e riprendendone
il valore, questa chiarificazione dottrinale intende ricordarci le ragioni per cui
il Concilio Vaticano II preferì alla semplice affermazione “est”, alla semplice copula,
il verbo “subsistit in”. Se si fosse detto che la Chiesa Una, Santa,
Cattolica ed Apostolica "è" la Chiesa cattolica guidata dal Successore di Pietro e
dai vescovi in comunione con lui si sarebbe semplicemente affermata una identità che
escludeva al di fuori della comunione cattolica ogni grado di comunione, ogni presenza
reale dei mezzi di grazia.
D. - Eccellenza, lei
sottolinea quanto il Papa si richiami al Concilio Vaticano II, tuttavia - come è noto
- alcune critiche espresse proprio ultimamente anche pensando al Motu proprio Summorum
Pontificum parlano di un Benedetto XVI che vuole tornare indietro rispetto al Concilio
Vaticano II. Eppure, per esempio nella Lettera ai cattolici di Cina, il Papa non cita
mai documenti anteriori al Concilio. Dunque, si tratta di giudizi superficiali?
R.
- Io sono convinto sulla base delle affermazioni che fa Papa Benedetto fin dall’inizio
del suo Pontificato che tutto l’orientamento di fondo del suo messaggio alle Chiese
e al mondo è nella linea del Concilio Vaticano II. In questo senso, il Papa lo ha
ribadito anche in questi recenti documenti. Anche nel documento relativo all’uso della
Messa in latino secondo il Messale di Pio V, Papa Benedetto sottolinea con grande
chiarezza il valore irrinunciabile del Concilio Vaticano II e della Liturgia rinnovata
da esso, e considera questa la formula ordinaria della Liturgia della Chiesa. Io non
vedo in questo documento alcuna forma di tradimento del Concilio e chi interpretasse
questo testo nel senso di una contrapposizione o di una rottura con il Concilio non
renderebbe ragione alla verità e soprattutto cadrebbe nello stesso errore che hanno
commesso i discepoli di mons. Lefevre quando hanno inteso più volte dichiaratamente
rifiutare l’autenticità dottrinale del Concilio Vaticano II.