2007-07-09 14:18:48

Un documento che richiama all’unità della fede e guarda con speranza al futuro: la riflessione del teologo Bux e dello storico Cardini sul Motu Proprio di Benedetto XVI sull’uso del Messale Romano del 1962


Il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI va accolto in maniera molto favorevole da tutti, poiché si tratta non di un provvedimento restrittivo, ma di un vero “allargamento” delle possibilità, secondo l’ormai nota linea ratzingeriana dell’“allargamento della ragione”. E’ quanto sottolinea l’agenzia Fides a proposito del documento sull’uso del Messale Romano del 1962, pubblicato sabato scorso. Intanto, soddisfazione per il Motu proprio viene espressa dalla Chiesa indiana. L’arcivescovo di Mumbai, Oswald Gracias, ha dichiarato all’agenzia AsiaNews che il documento viene “incontro alle necessità pastorali della comunità” e mette a disposizione della Chiesa “tutti i tesori della liturgia latina”. Per un approfondimento sul significato del Motu Proprio, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo don Nicola Bux, vicepreside dell’Istituto ecumenico “San Nicola” della Pontificia Università San Tommaso:RealAudioMP3


R. - L’aspetto più qualificante è il richiamo all’unità della fede nella molteplicità, nella varietà, delle forme della preghiera. Credo che questo sia un dato di fatto che forse pochi notano.

 
D. - Peraltro un Messale, quello del 1962, mai abrogato come il Papa stesso ha sottolineato. Eppure molti giornali, perfino prima della pubblicazione del Motu Proprio, hanno titolato: “La Chiesa torna indietro”, “Negazione del Concilio”. Cosa ne pensa?

 
R. - I Libri Liturgici non sono mai abrogati. Questa parola “abrogato” riguarda il diritto, non riguarda la liturgia. Quindi sono “re-innovati”, si parla di “renovatio”. Ora si sa che la renovatio fa parte del processo fisiologico di formazione dei Libri Liturgici, per esempio gli antichi Sacramentari Romani, notoriamente conoscono nel tempo diverse edizioni senza che per questo l’una abroghi l’altra. Faccio un altro esempio: se il Sacramentario Gregoriano o il messale di San Pio V fossero stati abrogati, come si sarebbe potuto attingere ad essi per la renovatio dei Libri Liturgici? La parola novus significa semplicemente ultimo.

 
D. - Cosa rispondere a quei fedeli che non comprendono appieno il significato di questo Motu proprio?

 
R. - Per comprendere bisogna leggere, perché si sa che l’ignoranza è la madre dei pregiudizi in tutte le cose. Bisogna leggere attentamente sia il testo che la Lettera, che aiuta in qualche modo a capire il contesto. Naturalmente, se ciò risultasse arduo nella comprensione, si può certamente ricorrere ai vescovi e ai pastori che faranno la loro opera per far comprendere proprio quello che dicevo all’inizio e cioè che l’unica fede ha diverse forme di preghiera. D’altronde, anche oggi si assiste normalmente alla forma di preghiera dei Movimenti ecclesiali: c’è chi prega in un modo e chi prega in un altro, e anche in tempi antichi i Domenicani pregavano in un modo e in Francescani in un altro. Quindi, non esiste una abrogazione dei riti, esiste invece uno sviluppo e un rinnovamento delle forme. Credo che il Motu proprio, avendo proprio come fine - come spesso ripete il testo - il bene delle anime, vuole aiutare tutti, nel rispetto, a capire che ci sono anche diverse forme di espressione nella preghiera dell’unica fede.

E che il Summorum Pontificum non rappresenti affatto un passo indietro, ma in realtà un documento lungimirante, viene ribadito anche dallo storico Franco Cardini, docente di Storia medievale all’Università di Firenze, intervistato da Alessandro Gisotti:RealAudioMP3


R. - La Chiesa non torna mai indietro, la Chiesa va sempre avanti. Io credo che il Santo Padre ha interpretato perfettamente nel suo Motu proprio questa vocazione fondamentale della Chiesa a comprendere il mondo di oggi e ad intenderlo con uno sguardo attento a non perdere nulla del passato, ma allo stesso tempo a preparare al meglio il futuro. Questo ritorno importante del latino è una riaffermazione della vocazione universalistica della Chiesa e allo stesso tempo è un invito a superare quelle differenze che esistono, che ci sono, che sono storicamente opportune e direi sacrosante tra le varie genti che convergono nella Chiesa cattolica, ma che tutte si riconoscono in un comune linguaggio.

 
D. - Dunque, un documento che amplia gli spazi di libertà dei fedeli, piuttosto che ridurli come pensa invece qualcuno…

 
R. - C’è voluto il coraggio di Benedetto XVI nel riproporre il latino con queste indicazioni, con queste premesse, ben sapendo che avrebbe senza dubbio procurato qualche equivoco, qualche pregiudizio. Io lo paragonerei al coraggio che ha avuto Giovanni Paolo II nell’andare a pregare in una sinagoga o in una moschea. Si tratta veramente di un gesto rifondante, di un gesto che non solo ricorre alla fondazione stessa della Chiesa, ma che la ripropone oggi, giovane, fresca, come se fosse uscita ora dalla mente di Dio. E’ una cosa straordinaria, perché Benedetto XVI ha dimostrato come questo organismo, che ha duemila anni, abbia ancora la forza di una realtà appena nata.

 
D. - Prof. Cardini, questo Motu proprio mette anche l’accento sul valore, sulla bellezza del latino. Una ricchezza, questa, forse dimenticata negli ultimi anni…

 
R. - L’abbandono del latino anche da parte della società civile è stata una perdita in termini culturali ed io direi anche in termini etici, perché il latino è una lingua rigorosa, è una lingua che insegna a ragionare, è una lingua che impegna fortemente la logica, e non a caso è stata la lingua del grande diritto romano. Noi pensiamo di essere oggi veramente nel futuro perché usiamo questo banale “basic english” e mettiamo brandelli di parole o di espressioni inglesi all’interno del nostro linguaggio. Oggi, negli Stati Uniti ci sono centri informatici in cui si fanno degli esperimenti per cercare di verificare se il latino potrebbe essere utilizzato come base per un sistema informatico di tipo universale. E i risultati sono straordinari, perché il latino si adatta molto meglio dell’inglese alle esigenze informatiche! Non si tratta quindi di tornare indietro, ma si tratta proprio di guardare avanti.







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