2007-07-06 14:42:09

Un gesto di coraggio per amore della Chiesa che è in Cina: così, il sinologo del PIME, padre Giancarlo Politi, definisce la Lettera del Papa ai cattolici cinesi


Il governo cinese raccolga l’invito del Papa per un rinnovato dialogo ed una normalizzazione dei rapporti: è quanto sottolinea padre Giancarlo Politi, esperto sinologo del PIME. A padre Politi, Alessandro Gisotti ha chiesto quale aspetto della Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi lo abbia colpito maggiormente:RealAudioMP3


R. - Io direi il coraggio del Papa nell’affrontare e dare un nome ai tantissimi problemi che hanno travagliato la Chiesa cattolica che è in Cina in questi anni. Quando si è cominciato a sapere che la Santa Sede avrebbe inviato una lettera, anch’io ho pensato: “Forse è meglio che venga firmata da altri e non dal Papa in persona”. Invece, l’ha voluta firmare lui e questo è certamente un atto di coraggio e anche un atto di umiltà. Il Papa non si è sottratto al suo compito di pastore universale. Credo che per questo c’è da essergli grati.

 
D. - Il Papa usa il linguaggio della verità e della carità, anche affrontando temi delicati come la nomina dei vescovi. Una sua riflessione su questo stile ...

 
R. - Chiaramente, la nomina dei vescovi è l’argomento che maggiormente interessa i rapporti della Chiesa in Cina, come nel resto del mondo. Come Benedetto XVI, anche i suoi predecessori non hanno mai mancato di dare un’inquadratura ben precisa sull’argomento. Purtroppo, all’interno della Chiesa di Cina, attraverso i rappresentanti ufficiali messi dal governo, non dai vescovi in quanto tali, avviene sempre una lettura che è distorta come se il vescovo fosse semplicemente un amministratore, un manager che dirige le attività della Chiesa. Questo è voluto perché chi parla, chi usa questo linguaggio, sa bene che non è vero e qui il disaccordo e il conflitto permane. Occorre anche da parte del governo cinese, secondo me, lo stesso coraggio che ha avuto il Papa.

 
D. - Benedetto XVI auspica una normalizzazione nei rapporti con le autorità civili. In alcune parti della Lettera sembra quasi voler spiegare, rassicurare il governo cinese sulle reali intenzioni della Chiesa. E’ un approccio nuovo?

 
R. - Non direi, perché anche Giovanni Paolo II l’ha fatto in molteplici occasioni chiedendo alla Cina, alle autorità cinesi di non aver paura della Chiesa, che la Chiesa non ha alcuna pretesa di privilegi. E’ un approccio normale su questo tema. Bisogna tener conto però che il governo cinese fondamentalmente non è interessato alla religione e alla Chiesa cattolica se non per i risvolti che ha sul piano e sulla politica internazionale. Anche qui ci sono due piani diversi: un governo cinese che fa i suoi calcoli, come è anche giusto direi, ma con un Papa che invece dice: “Noi vogliamo semplicemente il rispetto di ciò che crediamo”.







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