In Iraq, prosegue l’offensiva delle forze americane e irachene contro le roccaforti
di al Qaeda, a nord est di Baghdad. Nel corso delle operazioni militari sono rimasti
uccisi, finora, almeno 41 presunti ribelli. Agli scontri si devono poi aggiungere
nuove violenze anticristiane. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Nel Kurdistan
iracheno un camion bomba lanciato contro un municipio di una cittadina nei pressi
di Kirkuk ha provocato la morte di almeno 13 persone. Tra le vittime ci sono anche
donne e bambini. Sempre dal Kurdistan, arrivano ancora notizie di violenze contro
la comunità cristiana. A Mossul uomini armati hanno ucciso, ieri, due cristiani. Il
duplice omicidio è avvenuto nello stesso quartiere dove lo scorso 3 giugno sono stati
assassinati un sacerdote caldeo e tre suddiaconi. Altri 8 cristiani - 3 professori
e 5 studenti - sono stati rapiti nel nord del Paese, nella piana di Niniveh. Lo strazio
in Iraq si riflette, poi, anche nello sguardo perso nel vuoto di oltre 20 bambini
ritrovati dai soldati americani in un orfanotrofio di Baghdad. Erano denutriti, allo
stremo delle forze e con evidenti segni di maltrattamento. I militari temevano fossero
morti e hanno lanciato una palla in aria: improvvisamente, quegli occhi persi si sono
rianimati facendo svanire i timori peggiori. Ma restano inquietanti dubbi sulle condizioni
dei bambini nelle strutture pubbliche irachene. Le autorità del Paese arabo hanno
comunque subito respinto la definizione di orfanotrofio lager, attribuita all’istituto
di Baghdad. Il ministro del Lavoro ha precisato che i bambini erano stati abbandonati
dalle loro famiglie in condizioni gravissime e salvati da morte certa.
In
Iraq dunque la stabilizzazione sembra molto lontana, la Chiesa Caldea è tornata a
ribadire la necessità d’intervento della Comunità internazionale e del Governo iracheno
affinché cessino le violenze e le persecuzioni contro i cristiani. Da più parti si
sostiene anche che gruppi estremisti, esterni all’Iraq, avrebbero interessi affinché
nel Paese continui a regnare il caos. Massimiliano Menichetti ha raccolto il
commento del corepiscopo Philip Najim, visitatore apostolico per i fedeli Caldei
in Europa.
R. –
Sono dei gruppi fondamentalisti terroristici che vogliono creare questa divisione
tra il popolo iracheno. Nel corso della storia, sì, abbiamo avuto qualche evento di
persecuzione, però normalmente, i cristiani hanno sempre goduto dei loro diritti e
hanno contribuito proprio alla costruzione del Paese, dal punto di vista culturale,
materiale e sociale. Oggi come oggi, siccome sono perseguitati anche gli sciiti ed
i sunniti, anche i cristiani pagano questa conseguenza.
D.
– Dopo la liberazione di padre Hani, qualche giorno fa, ieri di nuovo il sequestro
di otto cristiani, tra studenti e professori. Poi, l’uccisione di altri due cristiani
...
R. – Ma loro continueranno con i sequestri, continueranno
a seminare la paura nei cuori dei cristiani, perché sanno che questa è una comunità
pacifica e continueranno proprio per creare disagi e divisioni ...
D.
– Lei ha già parlato di un Iraq sotto l’assedio di forze oscure che vogliono dividere.
Ma è possibile un dialogo?
R. – C’è qualcuno che
dice: è necessario il dialogo. Ma dialogare, con chi? Oggi non possiamo dialogare
con i terroristi, non possiamo dialogare con i fondamentalisti. Non nego che ci sono
dei moderati islamici e che il patriarcato della Chiesa caldea non ha mai cessato
di contattare questi capi per discutere il futuro del Paese con loro, perché noi abbiamo
sempre avuto questo pluralismo, specialmente nelle ultime repubbliche.
D.
– Un pluralismo che però oggi sembra non esserci...
R.
– Il pluralismo oggi si applica ad una situazione del genere. E’ quello che succede
in Iraq, quando c’è la pace, quando regna la democrazia, quando io riconosco l’altro
e riconosco i suoi diritti e quando io riconosco la sua umanità e il suo diritto alla
vita. Se c’è, dunque, un fondamentalismo che esclude l’altro, come posso creare un
dialogo, con chi posso dialogare?
D. – Un dato
allarmante è quello dei cristiani che fuggono dall’Iraq, anche se la presenza è ancora
forte...
R. – Noi in Iraq abbiamo avuto un milione
e mezzo di cristiani e quelli che sono emigrati negli ultimi anni non superano i 100
mila. Rimane una presenza forte sul territorio che deve godere dei suoi diritti e
che deve essere protetta dalle forze di coalizione. Il governo iracheno stesso, responsabile
della sicurezza, deve fare in modo che si trovi una situazione di pace, che cessino
questi atti terroristici contro tutto il popolo iracheno, specialmente contro i cristiani.