Lo sviluppo dei popoli deve fondarsi su una visione globale della persona umana: così
il Papa nell’udienza al Consiglio della Fondazione Populorum Progressio per l'America
Latina
Nasceva 15 anni fa, per volontà di Giovanni Paolo II, la Fondazione “Populorum Progressio”,
dal nome dell’enciclica firmata da Paolo VI e della quale ricorre quest’anno il 40.mo
anniversario. Stamani, il Papa ha ricevuto, nella Sala del Concistoro in Vaticano,
il Consiglio di amministrazione dell’istituzione, che opera in favore dei popoli più
bisognosi dell’America Latina e dei Caraibi. Il servizio di Roberta Gisotti:
Questa
Fondazione - ha ricordato Benedetto XVI - “è frutto della grande sensibilità che Giovanni
Paolo II dimostrava per gli uomini e le donne che più soffrono nella nostra società”.
Parole di vivo apprezzamento per il lavoro svolto il Papa ha rivolto al Consiglio
di amministrazione dell’organismo, guidato dal suo presidente, l’arcivescovo Paul
Josef Cordes. La Fondazione, posta sotto la responsabilità del Pontificio Consiglio
Cor Unum, è infatti dedicata a promuovere “iniziative specifiche” nei Paesi
latinoamericani e caraibici, “in aiuto delle popolazioni indigene, contadine e afroamericane”.
“Giovanni Paolo II - ha spiegato il Papa - pensava a quei popoli che minacciati nei
propri costumi ancestrali da una cultura postmoderna, possono vedere distrutte le
proprie tradizioni, così aperte ad accogliere la verità del Vangelo”. Questa missione
“tanto significativa”, ha raccomandato Benedetto XVI, deve proseguire poggiando su
due caratteristiche della Fondazione.
“En primer
lugar, el desarrollo de los pueblos debe tener como principio …”
In
primo luogo - ha osservato il Santo Padre - “lo sviluppo dei popoli deve avere come
principio pastorale una visione antropologica globale della persona umana”, come cita
lo Statuto della Fondazione, tenendo in conto l’aspetto sociale e materiale della
vita, così come l’annuncio della fede, la quale dà all’uomo il sentimento pieno del
suo essere”, perché “sovente la vera povertà dell’uomo è la mancanza di speranza,
l’assenza di un Padre che dia senso alla propria esistenza”. Seconda caratteristica,
“l’esemplarità del metodo di lavoro”, dove il Consiglio di amministrazione è composto
dai vescovi delle diverse aree del continente latinoamericano, ponendo quindi le decisioni
“nelle mani di quanti conoscono bene i problemi di quelle popolazioni e le loro necessità
concrete”. Si evita cosi “un certo paternalismo, sempre umiliante per i poveri e che
frena le loro iniziative”, e si garantisce che la totalità dei fondi arrivi ai più
bisognosi “senza disperdersi” in lungaggini burocratiche.
Richiamando,
infine, quanto già espresso nel recente viaggio pastorale ad Aparecida, in Brasile,
Benedetto XVI ha evidenziato che la Chiesa in America Latina, pure di fronte ad enormi
sfide come la secolarizzazione, la proliferazione delle sette e l’indigenza di tanti
fratelli, è la "Chiesa della speranza", “che sente la necessità di lottare in favore
della dignità di ogni uomo, di una vera giustizia e contro la miseria dei nostri simili”.