2007-06-13 07:56:07

Venerdì 15 giugno Giornata per la santificazione del clero: intervista con l'arcivescovo Mauro Piacenza


Venerdì 15 giugno, nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, si celebra la Giornata della santificazione del clero. Un appuntamento voluto da Giovanni Paolo II nel 1995. Qual è il senso di questa Giornata? Lo abbiamo chiesto al segretario della Congregazione per il Clero, l’arcivescovo Mauro Piacenza:

D. – Eccellenza, il significato, la finalità di questa Giornata …

R. – Questa Giornata, finalizzata a pregare per la santificazione del Clero ed è una Giornata che ha come significato – direi – la presa di coscienza da parte di tutto il popolo di Dio, e dei sacerdoti naturalmente, della insostituibilità del sacerdozio. La redenzione corre sul filo del sacerdozio per arrivare a tutte le generazioni di tutti i tempi. Il primo significato è, quindi, proprio questo rendersi conto dell’essenzialità del sacerdozio, che non è una sovrastruttura della Chiesa, ma è struttura portante perché irraggia l’ansia salvifica di nostro Signore Gesù Cristo. La finalità è, pertanto, quella di pregare per la santificazione del Clero, perché il sacerdote, che è un altro Cristo in mezzo alla società, deve poter riprodurre i tratti di Cristo e, quindi, la santità diventa un’esigenza ontologica, un’esigenza del proprio essere.

D. – Perché si fa coincidere questa Giornata con la solennità del Sacro Cuore di Gesù?

R. – Il cuore, noi sappiamo, che è il simbolo dei sentimenti. Come noi vediamo riprodotto il cuore in un quadro, pensiamo immediatamente all’amore, al palpitare dei sentimenti. Il Cuore di Gesù è il simbolo, il punto di attribuzione proprio della sua carità pastorale verso le anime. Quando guardiamo a quel Cuore pensiamo alla frase “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi. Io vi ristorerò”. Allora il sacerdote, da una parte, si sente amato ed accolto come amico: “Non vi chiamerò più servi, ma amici”, dice Gesù ai suoi sacerdoti e ai suoi apostoli; e quindi si sente compreso anche nei momenti della sua solitudine o nel dramma della difficoltà di comunicare i valori che deve comunicare ad una società secolarizzata; dall’altra per il sacerdote è una scuola, e cioè è la scuola per poter essere inondato di quella carità pastorale per essere lui stesso rifugio delle anime. La presenza stessa del sacerdote, il vederlo – e per questo è importante anche che lo si veda esternamente nel suo abito e nel suo contegno conseguente – deve essere un segno: le persone, vedendo passare un sacerdote, dovrebbero sentire questo senso di paternità, di accoglienza, di comprensione, di rifugio e questo per tutti, in tutte le condizioni. Direi allora che è anche una scuola particolare per essere dei buoni confessori, per amministrare la misericordia di Dio.

D. – Quale figura di prete si aspetta oggi la comunità cristiana?

R. – Direi una figura di prete molto diversa da quella che i mezzi di comunicazione sociale in genere presentano: viene infatti presentato quasi come uno Yuppy. Il sacerdote che ci si attende è soprattutto l’uomo di Dio e questo ho dovuto constarlo anche quando per tanti anni sono stato insegnante di religione in alcuni licei. Io ho sempre visto che i ragazzi possono anche ridere, scherzare, dare una battuta sulla spalla all’insegnante di religione, al sacerdote, ma quando cercano veramente il prete, cercano l’uomo di Dio. Cercano cioè un uomo alla Santo Curato d’Ars, alla San Giovanni Don Bosco, ognuno naturalmente con il suo carattere, con le proprie caratteristiche, ma l’uomo sicuramente intriso della presenza di Dio. Quando si diceva del Santo Curato d’Ars, si diceva: “Chi sei andato a vedere?”. La risposta era: “Sono andato a vedere Dio in un uomo”. Io credo che anche i laicisti, anche le persone più lontane nelle pieghe riposte del loro cuore, quando si parla di prete, quando dovessero aprirgli animo, cercano un uomo di Dio.

D. – Quali sfide si trovano davanti i sacerdoti oggi?

R. – Certamente quelle stesse sfide che indica spesso il Santo Padre e cioè quella della secolarizzazione, quella del relativismo, quella del cosiddetto pensiero debole, che è purtroppo molto forte nella sua debolezza proprio perché è molto diffuso nella cultura di massa, veicolato anche dai mezzi di comunicazione. Penso all’indifferentismo, e quando io dico irenismo intendo dire proprio una sorta di buonismo generale per cui tutto fa brodo. Allora non si vede sufficientemente la necessità assoluta e non relativa di nostro Signore Gesù Cristo come Redentore dell’uomo. Io credo che le insidie siano queste della cultura contemporanea: una tolleranza intollerante, che tollera tutto eccetto che la verità e la proposta della verità. Non si può pretendere che tutti siano in questa dimensioni della verità oggettiva, ma che la cerchino come l’aspirazione più profonda dell’uomo, questo sì. Allora questo coacervo di linee relativistiche, anche una cultura vagamente new age, vagamente teista. La ricerca di valori, tutto sommato c’è, ma si tratta di valori in senso vago e non il valore che è Gesù Cristo: via, verità e vita. Questo supporto culturale, piuttosto materialistico, è però in contraddizione, perché allo stesso tempo si cerca grande spiritualità ed è quello che l’uomo di Dio, il sacerdote, deve dare. Vediamo, però materialismo, secolarismo e quasi irrisione dei grandi valori. C’è bisogno di questo: il sacerdote che non va dietro al mondo, ma deve essere pieno di Dio perché il mondo vada dietro a lui e quindi dietro a Dio; deve, quindi, saper affrontare queste sfide con un grande rifornimento di amore di Dio e di passione per la missione.

D. – Un sacerdote santo fa i fedeli santi: è reale l’interattività tra il livello spirituale del clero e quello dei fedeli?

R. – E’ una bella domanda, perché mi dimostra che chi me lo ha chiesto ha capito tutto. Effettivamente c’è una interazione, c’è una interdipendenza. Più il sacerdote è santo e più quanti sono oggetto della sua cura e stanno attorno a lui sul territori – pensiamo al parroco, al vice parroco, oppure nei movimenti e nelle associazioni – certamente c’è a cerchi concentrici una diffusione di bontà, di santità. In fondo è come la fonte di calore: se c’è un calorifero in una stanza e il calorifero è incandescente, la stanza diventa tiepida. E’ un pò la stessa cosa. Io vorrei dire, concludendo, che è bene che i fedeli che comprendono tutto questo siano stimolati a pregare per i loro sacerdoti e a pretendere dai loro sacerdoti questo, avendo però molta comprensione, essendo cioè loro stessi direi a favorire la santificazione dei sacerdoti, affinché al loro contatto, il sacerdote si senta provocato nel cercare l’imitazione di Cristo sempre di più. Mi permetto di concludere anche dicendo che c’è sempre una strada maestra: l’affidamento totale alla Santa Vergine. Certamente Colei che dentro di sé ha accolto la vita, perché adombrata dallo Spirito Santo ha generato Cristo nel tempo ed ha quindi plasmato il corpo di Gesù sacerdote, sia Lei a plasmare nei sacerdoti i tratti del suo Figlio Gesù.








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