Venerdì 15 giugno Giornata per la santificazione del clero: intervista con l'arcivescovo
Mauro Piacenza
Venerdì 15 giugno, nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, si celebra la Giornata
della santificazione del clero. Un appuntamento voluto da Giovanni Paolo II nel 1995.
Qual è il senso di questa Giornata? Lo abbiamo chiesto al segretario della Congregazione
per il Clero, l’arcivescovo Mauro Piacenza:
D. – Eccellenza, il significato,
la finalità di questa Giornata …
R. – Questa Giornata, finalizzata a pregare
per la santificazione del Clero ed è una Giornata che ha come significato – direi
– la presa di coscienza da parte di tutto il popolo di Dio, e dei sacerdoti naturalmente,
della insostituibilità del sacerdozio. La redenzione corre sul filo del sacerdozio
per arrivare a tutte le generazioni di tutti i tempi. Il primo significato è, quindi,
proprio questo rendersi conto dell’essenzialità del sacerdozio, che non è una sovrastruttura
della Chiesa, ma è struttura portante perché irraggia l’ansia salvifica di nostro
Signore Gesù Cristo. La finalità è, pertanto, quella di pregare per la santificazione
del Clero, perché il sacerdote, che è un altro Cristo in mezzo alla società, deve
poter riprodurre i tratti di Cristo e, quindi, la santità diventa un’esigenza ontologica,
un’esigenza del proprio essere.
D. – Perché si fa coincidere questa Giornata
con la solennità del Sacro Cuore di Gesù?
R. – Il cuore, noi sappiamo, che
è il simbolo dei sentimenti. Come noi vediamo riprodotto il cuore in un quadro, pensiamo
immediatamente all’amore, al palpitare dei sentimenti. Il Cuore di Gesù è il simbolo,
il punto di attribuzione proprio della sua carità pastorale verso le anime. Quando
guardiamo a quel Cuore pensiamo alla frase “Venite a me, voi tutti che siete affaticati
e stanchi. Io vi ristorerò”. Allora il sacerdote, da una parte, si sente amato ed
accolto come amico: “Non vi chiamerò più servi, ma amici”, dice Gesù ai suoi sacerdoti
e ai suoi apostoli; e quindi si sente compreso anche nei momenti della sua solitudine
o nel dramma della difficoltà di comunicare i valori che deve comunicare ad una società
secolarizzata; dall’altra per il sacerdote è una scuola, e cioè è la scuola per poter
essere inondato di quella carità pastorale per essere lui stesso rifugio delle anime.
La presenza stessa del sacerdote, il vederlo – e per questo è importante anche che
lo si veda esternamente nel suo abito e nel suo contegno conseguente – deve essere
un segno: le persone, vedendo passare un sacerdote, dovrebbero sentire questo senso
di paternità, di accoglienza, di comprensione, di rifugio e questo per tutti, in tutte
le condizioni. Direi allora che è anche una scuola particolare per essere dei buoni
confessori, per amministrare la misericordia di Dio.
D. – Quale figura di
prete si aspetta oggi la comunità cristiana?
R. – Direi una figura di prete
molto diversa da quella che i mezzi di comunicazione sociale in genere presentano:
viene infatti presentato quasi come uno Yuppy. Il sacerdote che ci si attende è soprattutto
l’uomo di Dio e questo ho dovuto constarlo anche quando per tanti anni sono stato
insegnante di religione in alcuni licei. Io ho sempre visto che i ragazzi possono
anche ridere, scherzare, dare una battuta sulla spalla all’insegnante di religione,
al sacerdote, ma quando cercano veramente il prete, cercano l’uomo di Dio. Cercano
cioè un uomo alla Santo Curato d’Ars, alla San Giovanni Don Bosco, ognuno naturalmente
con il suo carattere, con le proprie caratteristiche, ma l’uomo sicuramente intriso
della presenza di Dio. Quando si diceva del Santo Curato d’Ars, si diceva: “Chi sei
andato a vedere?”. La risposta era: “Sono andato a vedere Dio in un uomo”. Io credo
che anche i laicisti, anche le persone più lontane nelle pieghe riposte del loro cuore,
quando si parla di prete, quando dovessero aprirgli animo, cercano un uomo di Dio.
D. – Quali sfide si trovano davanti i sacerdoti oggi?
R. – Certamente
quelle stesse sfide che indica spesso il Santo Padre e cioè quella della secolarizzazione,
quella del relativismo, quella del cosiddetto pensiero debole, che è purtroppo molto
forte nella sua debolezza proprio perché è molto diffuso nella cultura di massa, veicolato
anche dai mezzi di comunicazione. Penso all’indifferentismo, e quando io dico irenismo
intendo dire proprio una sorta di buonismo generale per cui tutto fa brodo. Allora
non si vede sufficientemente la necessità assoluta e non relativa di nostro Signore
Gesù Cristo come Redentore dell’uomo. Io credo che le insidie siano queste della cultura
contemporanea: una tolleranza intollerante, che tollera tutto eccetto che la verità
e la proposta della verità. Non si può pretendere che tutti siano in questa dimensioni
della verità oggettiva, ma che la cerchino come l’aspirazione più profonda dell’uomo,
questo sì. Allora questo coacervo di linee relativistiche, anche una cultura vagamente
new age, vagamente teista. La ricerca di valori, tutto sommato c’è, ma si tratta di
valori in senso vago e non il valore che è Gesù Cristo: via, verità e vita. Questo
supporto culturale, piuttosto materialistico, è però in contraddizione, perché allo
stesso tempo si cerca grande spiritualità ed è quello che l’uomo di Dio, il sacerdote,
deve dare. Vediamo, però materialismo, secolarismo e quasi irrisione dei grandi valori.
C’è bisogno di questo: il sacerdote che non va dietro al mondo, ma deve essere pieno
di Dio perché il mondo vada dietro a lui e quindi dietro a Dio; deve, quindi, saper
affrontare queste sfide con un grande rifornimento di amore di Dio e di passione per
la missione.
D. – Un sacerdote santo fa i fedeli santi: è reale l’interattività
tra il livello spirituale del clero e quello dei fedeli?
R. – E’ una bella
domanda, perché mi dimostra che chi me lo ha chiesto ha capito tutto. Effettivamente
c’è una interazione, c’è una interdipendenza. Più il sacerdote è santo e più quanti
sono oggetto della sua cura e stanno attorno a lui sul territori – pensiamo al parroco,
al vice parroco, oppure nei movimenti e nelle associazioni – certamente c’è a cerchi
concentrici una diffusione di bontà, di santità. In fondo è come la fonte di calore:
se c’è un calorifero in una stanza e il calorifero è incandescente, la stanza diventa
tiepida. E’ un pò la stessa cosa. Io vorrei dire, concludendo, che è bene che i fedeli
che comprendono tutto questo siano stimolati a pregare per i loro sacerdoti e a pretendere
dai loro sacerdoti questo, avendo però molta comprensione, essendo cioè loro stessi
direi a favorire la santificazione dei sacerdoti, affinché al loro contatto, il sacerdote
si senta provocato nel cercare l’imitazione di Cristo sempre di più. Mi permetto di
concludere anche dicendo che c’è sempre una strada maestra: l’affidamento totale alla
Santa Vergine. Certamente Colei che dentro di sé ha accolto la vita, perché adombrata
dallo Spirito Santo ha generato Cristo nel tempo ed ha quindi plasmato il corpo di
Gesù sacerdote, sia Lei a plasmare nei sacerdoti i tratti del suo Figlio Gesù.