Giornata mondiale contro il lavoro minorile: ogni anno muoiono 22 mila bambini-lavoratori
Sono oltre 218 milioni, di età compresa tra i 5 e i 14 anni, i bambini vittime dello
sfruttamento economico. Il 70 per cento è impiegato nel settore agricolo e sono circa
22 mila quelli che muoiono ogni anno per il lavoro cui vengono sottoposti. E’ il drammatico
bilancio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro presentato in occasione dell’odierna
Giornata mondiale contro il lavoro minorile. Al microfono di Cecilia Seppia,
il direttore generale di UNICEF Italia, Roberto Salvan, riflette sulla diffusione
del fenomeno nel mondo e sulla necessità di provvedimenti validi:
R. –
Il lavoro minorile è diffuso prevalentemente in Asia, ma se dobbiamo guardare il bambino
che lavora e non va assolutamente a scuola, la situazione è più drammatica in Africa.
D.
– Chi lavora non studia e fatica a costruirsi un futuro. Eppure, a volte, è l’unico
modo per sopravvivere, sia per i bambini che per le famiglie di appartenenza ...
R.
– Là dove è più forte la povertà delle famiglie, maggiore è il ricorso al lavoro minorile
per sostenere le famiglie stesse. In particolare, dove la crisi economica, le difficoltà
ambientali e le situazioni di malattia – pensiamo soltanto cosa significhi in Africa
perdere il padre a causa dell’AIDS – i bambini che vanno dai 6, 7, 8 ai 12, 13 anni
sono quelli più a rischio e che probabilmente soffrono maggiormente per il fatto che
devono lavorare per sostenere la famiglia. Ma gran parte dei bambini lavorano all’interno
della famiglia, soprattutto nell’agricoltura. Se si riuscisse in qualche modo a garantire
anche ai bambini che aiutano la propria famiglia nella coltivazione dei campi ad andare
a scuola - anche una scuola di tipo informale - questo problema si risolverebbe. Altrimenti,
purtroppo, la famiglia rimane all’interno di un ciclo di povertà che si perpetua anche
nelle prossime generazioni.
D. – E per ridurre questo
problema, che cosa serve concretamente?
R. – Servono
maggiori risorse, serve maggiore informazione, aiuto e sostegno alle famiglie nelle
fasce più deboli, e soprattutto è necessario intervenire all’interno delle grandi
città, dove sono forti le presenze di bidonvilles, di slums, dove i diritti dei bambini
vengono spesso negati e ci sono migliaia e migliaia di bambini che vivono di espedienti
nelle strade e nei mercati. Servono leggi nazionali che poi vanno monitorate, e ci
devono essere delle possibilità di intervento attraverso la comunità, attraverso organizzazioni
non governative e altre realtà, per controllare continuamente dove sono presenti le
fasce a rischio.
D. – Iniziative e progetti come
la Banca dei bambini, che è gestita da e per i bambini stessi, possono servire a qualcosa?
R.
– Questa esperienza è certamente positiva, perché ci sono dei 14enni, dei 15enni,
che lavorano e che allo stesso tempo la sera vanno a scuola. Attraverso la banca possono
vedere in modo più positivo la loro crescita, perché con questo sistema di banca-cooperativa
i ragazzi vengono anche incentivati a crescere nella scala sociale e nei loro diritti.