La riunione del Consiglio di amministrazione della Fondazione Populorum Progressio:
interrvista con mons. Segundo Tejado Munoz
Si tiene in Vaticano, dal 12 al 14 di questo mese, la Riunione del Consiglio di amministrazione
della Fondazione ‘Populorum Progressio’. Con noi a parlarcene mons. Segundo Tejado
Munoz, officiale del Pontificio Consiglio Cor Unum a cui fa capo la Fondazione:
D.
– Cos’è questa Fondazione, quando e con quali finalità è sorta?
R. – La Fondazione
Populorum Progressio è una fondazione pontificia che fa capo al Pontificio Consiglio
Cor Unum, responsabile della gestione, e che ha un Consiglio di amministrazione che
si raduna appunto in questi giorni. Nasce nell’anno 1992, in occasione del V centenario
dell’evangelizzazione dell’America da parte del Santo Padre Giovanni Paolo II, e la
finalità è come un segno della carità del Santo Padre nei confronti di queste popolazioni
dell’America Latina, chiamato continente della speranza, come è stato definito anche
da Benedetto XVI in questo viaggio ad Aparecida.
D. - Quali i temi al centro
della riunione?
R. – La riunione viene fatta per approvare i progetti presentati
lungo l’arco dell’anno. In tutto l’anno sono stati presentati alla segreteria di Bogotà
una serie di progetti da tutte le nazioni dell’America Latina. Ogni volta ci si raduna
in un Paese diverso dell’America Latina, Paesi ai quali appartengono i membri. Quest’anno,
per sottolineare il suo essere pontificio e la sua vicinanza al Santo Padre, abbiamo
voluto farla a Roma. Anche nel 2000 l’abbiamo fatta a Roma, in modo che questa vicinanza
al Papa, questa vicinanza della Fondazione al Santo Padre, si faccia effettiva, si
faccia fisica.
D. - Quali sono le emergenze da voi affrontate in modo particolare?
R.
– La Fondazione Populorum Progressio non si occupa di emergenze puntuali. Ci sono
altre organizzazioni all’interno della Chiesa, quali la Caritas ed altre, che si occupano
delle emergenze, anche perchè hanno la capacità di farlo. La Fondazione Populorum
Progressio è una fondazione piccola, limitata, che aiuta più un tipo di emergenza
nel tempo, emergenze che non sono puntuali, non sono attuali, emergenze endemiche
del continente latinoamericano.
D. - Un bilancio del lavoro fin qui svolto
dalla Fondazione?
R. – La Fondazione approva i progetti. Sono già passati 15
anni dalla sua creazione. La Fondazione approva attorno ai 200, 220 progetti che si
aggirano intorno a 10-15 mila dollari. Sono cose piccole, non vogliono essere grandi
progetti, ma segni della presenza del Santo Padre in America Latina. Siamo intorno
a quasi 1800 progetti in questi anni, forse anche un po’ di più. Adesso non ho il
dato esatto. Sono progetti vari: dal Cile al Messico, passando per i Carabi, Cuba.
Sono tante le varietà socio pastorali che troviamo in nazioni di questo tipo.
D.
– Qual è la provenienza dei fondi per portare avanti queste iniziative di aiuto?
R.
– Fino a questo momento abbiamo avuto un aiuto sostanziale, importantissimo, da parte
della Conferenza episcopale italiana. Il Santo Padre Giovanni Paolo II chiese a suo
tempo alla Conferenza episcopale italiana di aiutare questa fondazione. E grande è
stata la generosità in questi anni. Sono stati loro ad aiutarci. Quest’anno abbiamo
iniziato tutto un lavoro di ricerca, di sensibilizzazione di altri organismi, altri
enti, perché prima di tutto si potesse allargare la capacità di fare progetti e potessero
essere di più. In secondo luogo, perché noi dobbiamo arrivare al momento in cui sia
la stessa America Latina a finanziare i suoi progetti. Da qui abbiamo cominciato tutta
una serie di contatti con gli episcopati, con alcune persone che ci vengono presentate
e sono interessate ad aiutare il Papa in questa missione. Perché in fondo una fondazione
non è altro che una missione.
D. - Siamo nel 40° anniversario dell’Enciclica
Populorum Progressio di Paolo VI: Papa Montini nel 1967 sottolineava con forza che
il nome della pace è lo sviluppo dei popoli. Cosa è cambiato oggi?
R. – Sono
cambiate tante cose, ma credo che questa frase di Papa Paolo VI nella Populorum Progressio
sia una frase profetica, in nome della pace e dello sviluppo dei popoli. Questa pace
è una pace che va ricercata in ogni momento da tutti, da parte dei popoli, ma anche
da parte dei singoli.
D. - Cosa deve fare la comunità internazionale perché
la globalizzazione non approfondisca sempre di più la distanza tra Paesi ricchi e
Paesi poveri?
R. – Con le parole di Giovanni Paolo II: globalizzare la carità,
globalizzare la solidarietà. Credo che questa sia la risposta che la Chiesa deve dare
al mondo. Se noi globalizziamo soltanto l’economia, e la globalizzazione in fondo
sta diventando un sistema economico di rapporto tra tutti i mercati, allora globalizzeremo
poco e la differenza tra ricchi e poveri, questo solco sarà sempre più grande. Il
Papa ha parlato di globalizzare la carità, la solidarietà e credo che questo sia il
messaggio profetico che noi dobbiamo dare. Benedetto XVI ha parlato anche dell’Europa.
L’Europa non può diventare soltanto un mercato, deve diventare un luogo dove i valori
cristiani che stanno alla base della nostra cultura, della cultura europea, ma anche
di tutto il mondo - perché la globalizzazione è qualcosa di esteso a tutto il mondo
- possano basarsi non soltanto sull’economia, ma anche su altri valori.
NB:
L’intervista è disponibile sul netia anche in spagnolo con lo stesso mons.
Segundo Tejado Munoz; nonché, in francese e inglese con mons. Karel
Kasteel, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum.